I marchi automobilistici cinesi come BYD avanzano verso l’Europa, ma la strada potrebbe riservare diversi ostacoli. Tra dazi, abitudini di consumo e diffidenze, le questioni da fronteggiare per le auto elettriche in arrivo da Pechino
Lo sbarco di BYD in Europa non è più questione di se ma di quando. Anzi, il marchio automobilistico cinese è già nel nostro continente, investendo in fabbriche e studiando dei percorsi tali da poter penetrare nel nostro mercato senza incappare nella mannaia di dazi e tariffe draconiane, come quelle al vaglio dell’UE per i prodotti cinesi d’importazione.
Uno dei fiori all’occhiello dell’industria di Pechino nonché testa d’ariete per la sua espansione nel settore automotive però potrebbe trovare resistenze nel territorio europeo. Un articolo di Fortune spiega infatti come i marchi di casa nostra, tutto sommato, possono anche resistere all’avanzata di BYD.
I vantaggi competitivi di BYD
È vero sicuramente che l’azienda sostenuta anche da Warren Buffett e che ha messo sotto scacco nientemeno che Tesla ha un vantaggio competitivo dalla sua. Ovvero, i prezzi delle auto elettriche più bassi rispetto alle concorrenti occidentali. La Seagull, modello base, in Cina viene venduta per un equivalente di 10.000 euro. In Italia si salirà verso i 20.000 per venire incontro alle modifiche obbligatorie dello standard di sicurezza Euro NCAP. Ma comunque parliamo di una utilitaria elettrica dal costo finale concorrenziale. Bisogna inoltre considerare che, secondo un sondaggio di Bloomberg Intelligence riportato da Fortune, oltre l’80% degli europei ritiene troppo alti i prezzi delle BEV.
Il vantaggio di BYD e di altri marchi cinesi risiede in particolare nelle batterie, se parliamo di prezzi. Pechino ha la leadership nell’industria degli accumulatori che alimentano le elettriche, forte anche della posizione monopolista nell’estrazione e lavorazione delle materie prime per le batterie. E queste ultime hanno un notevole peso sul prezzo finale della vettura.
L’avanzata di BYD è già partita, come abbiamo detto. Lo stabilimento in programma in Ungheria è il cavallo di Troia per propagarsi in Europa, e intanto grandi navi container cariche di vetture elettriche si dirigono verso i porti olandesi e tedeschi. Secondo un rapporto di Allianz Trade, l’industria automobilistica europea potrebbe perdere 7 miliardi di euro entro la fine di questo decennio a causa della concorrenza cinese.
Ma per BYD c’è un problema: Buffett e la misteriosa vendita delle azioni del marchio
Ma, come dicevamo, la situazione per i nostri marchi non potrebbe essere così apocalittica. Anzitutto, a livello finanziario nell’ultimo anno c’è stato un colpo di scena per BYD. Berkshire Hathaway, la ricca holding di Buffett, nel corso del 2023 ha venduto più del 60% delle azioni che deteneva del marchio.
Una mossa forse dettata dalla necessità da parte del conglomerato e del suo proprietario di evitare una così esplicita esposizione geopolitica, investendo in una realtà cinese dai riflessi non solo industriali ed economici. C’è da dire però che difficilmente Buffet si libera di azioni nel suo portafoglio, vista la sua propensione a detenere il più possibile i propri investimenti. A meno che non ci siano motivi seri. Come successe ad esempio con le azioni vendute della banca Wells Fargo, all’epoca dello scandalo sulle frodi sui conti. Permane comunque il mistero sul reale motivo (questioni politiche? Necessità di liquidità? Controversie fiutate?) della mossa di Bershire.
Tutto ciò ha comunque comportato una perdita del valore in borsa di BYD di più del 16% negli ultimi 12 mesi, scrive Fortune. E questo nonostante gli affari, al di là dell’aspetto finanziario, stiano andando bene, con consegne in aumento.
Ostacoli BYD in Europa: la questione dei dazi
Il fatto poi è che BYD e gli altri marchi cinesi, come abbiamo accennato, possono subire il contraccolpo dell’indagine che l’UE ha annunciato per accertare se vi siano pratiche commerciali scorrette da parte della Cina. Con il rischio di una stretta sulle tariffe in entrata dei prodotti in arrivo da Pechino.
La leva dei dazi è l’argine che sino ad ora ha protetto Tesla dall’essere travolta malamente dalla concorrenza cinese, come ha riconosciuto lo stesso Elon Musk. E lo stesso si potrebbe dire per gli altri marchi storici dell’automotive, che stanno vivendo la transizione verso l’elettrico.
Inoltre, se BYD delocalizza la propria produzione in Europa, dovrà al tempo stesso far fronte ad un aumento del costo del lavoro rispetto alla madrepatria. Salari quindi più alti rispetto agli 1,93-4,27 dollari corrisposti all’ora in Cina, come ha evidenziato un’analisi della Reuters. E con un mercato del lavoro regolato da contrattazioni collettive tali da tutelare la manodopera e gli stipendi.
Ostacoli BYD in Europa: la diffidenza dei consumatori
Ancora, BYD e gli altri marchi dovranno fare i conti con un aspetto meno tecnico e quantificabile e più imponderabile. Ovvero le abitudini di acquisto e i legami con prodotti e aziende da parte dei consumatori europei. Dalle nostre parti BYD resta una realtà abbastanza sconosciuta nonostante la sua importanza nello scacchiere automobilistico mondiale. Non è insomma riconoscibile come marchi che per noi sono sinonimo di automobile. Da Stellantis con il suo portafoglio di case (FIAT, Opel, Citroen, DS) al gruppo Volkswagen, passando per BMW e Mercedes: sebbene la loro era elettrica sia agli albori, i modelli BEV potranno partire da un legame di fiducia e di riconoscibilità del marchio che li ha prodotti.
Fortune a tal proposito riporta il commento di Fabian Brandt, ovvero il responsabile del settore automobilistico e dei beni industriali presso la società di consulenza gestionale Oliver Wyman. Egli ha affermato: “Credo che la credibilità e la fiducia di cui godono i marchi europei li aiuterà a difendersi contro i nuovi concorrenti. È una questione anche di presenza locale e dei concessionari, e tutto ciò è relativamente difficile da costruire“.
Esiste poi la diffidenza occidentale nei confronti dei prodotti cinesi, non considerati all’altezza dei nostri standard. Perciò, BYD e gli altri marchi dovranno far fronte ad ostacoli come tariffe e regolamentazioni, e abitudini di consumo consolidate. Ma non solo. Un altro problema sarà la tecnologia in termini di connettività, aspetto ormai essenziale nelle nuove auto. In Cina (e anche in America) esiste un numero limitato di operatori, a differenza dell’Europa, dove sussistono disparità di gestori della rete mobile e di sim tra un Paese e l’altro.
Le case cinesi insomma dovranno vincere le barriere all’ingresso, sia economiche che infrastrutturali e finanche emotive, nella loro avanzata verso l’Europa. Convincendo gli automobilisti nostrani della bontà e quindi della superiorità delle loro BEV rispetto ai nostri modelli, elettrici o – soprattutto – tradizionali.
Immagine di Copertina: BYD