Roma, 16/10/2024
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Troppi satelliti in orbita: allarme sul rischio collisioni “catastrofiche”. E Starlink “oscura” lo spazio

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Ci sono troppi satelliti in orbita? A quanto pare sì, con rischi notevoli in termini di collisioni, sia nello spazio che per le comunicazioni a Terra. E la costellazione Starlink finisce sotto accusa: ecco perché

Esiste un rischio di collisioni catastrofiche dei satelliti che sono attualmente in orbita? Secondo alcuni scienziati sì. Tanto è vero che a loro dire non è una questione di se, ma di quando. Per chiarire il contesto, dal primo lancio con lo Sputnik nel 1957 al momento ci sono oltre 13.000 satelliti vaganti, stando ai dati riportati dalla BCC. Di questi, 3.000 hanno smesso di funzionare.

I rischi delle collisioni dei satelliti in orbita

Con una mole del genere di oggetti celesti, e che potrebbe ulteriormente aumentare, la possibilità che ci siano contatti tra essi non è così peregrina. E parliamo di oggetti che viaggiano a velocità che come minimo sono sull’ordine di 7,8 km/s (vale a dire 28.000 km/h), quindi immaginiamo cosa potrebbe succedere se entrassero in collisione. Non soltanto in merito all’impatto, con perdita di ulteriori detriti ugualmente pericolosi, ma anche alle conseguenze sulle telecomunicazioni terrestri e sui dati che i satelliti ci forniscono.

Andy Lawrence, a capo della cattedra di Astronomia presso l’Università di Edimburgo, alla BBC ha usato una metafora per far capire le insidie del problema. Il professore ha citato il principio della rana bollita teorizzata da Noam Chomsky. La creatura se finisce in una pentola di acqua bollente salterebbe subito via, mettendosi in salvo. Ma se restasse immersa nell’acqua fredda, che viene però gradualmente riscaldata, non percepirebbe il pericolo. E poco a poco sarebbe spacciata.

Questo principio si applica a diversi ambiti (pensiamo al cambiamento climatico), incluso quello satellitare. C’è la consapevolezza che stiamo andando verso la saturazione dell’orbita con troppi oggetti celesti, ma continuiamo ad aggiungerne altri sino ad incappare al punto di rottura.

I casi più recenti di collisioni

Più o meno di recente, nel 2013, due satelliti Cubesat si sono scontrati, così come il satellite Fengyun FY-1C e il nano-satellite russo BLITS. Prima ancora, nel 2009, lo statunitense Iridium 33 è andato ad impattare contro l’ormai in disuso Cosmos 2251 russo. Lo scontro è avvenuto a 11,7 km/h, generando un numero superiore ai 2.000 detriti. E parliamo di quelli tracciabili.

Poi c’è stato un potenziale incidente nel 2023, quello tra il non più funzionante telescopio spaziale IRAS (Infrared Astronomical Satellite) realizzato da Stati Uniti, Regno Unito e Olanda e il satellite americano, anch’esso non più in uso (dal 1972!) Gravity Gradient Stabilization Experiment (GGSE-4).

Come si nota da quest’ultimo esempio c’è un problema di corpi celesti in disuso che comunque continuano a vagare in orbita. Una sorta di spazzatura spaziale non smaltita. E che attualmente è costituita da 12.000 frammenti tracciabili. Un problema non di facile soluzione, se pensiamo anche alle difficoltà nel prevenire gli scontri soprattutto se parliamo di satelliti non manovrabili da Terra, come il TIMED della NASA che nel 2009 sfiorò un altro Cosmos russo.

La corsa delle aziende, da Amazon a Starlink

Il punto è che alcuni servizi come internet a banda larga necessitano di parecchi satelliti in orbita (in particolare quella bassa). E le aziende stanno battagliando per garantire la migliore offerta in termini di copertura. Basti pensare al progetto Kuiper di Amazon, con il lancio di oltre 3.000 satelliti entro il 2026.

Oppure Starlink, al momento la più grande costellazione di veicoli celesti per la comunicazione internet in orbita con oltre 6.000 unità dal primo lancio avvenuto nel 2019 (lo scorso giugno ne sono stati spediti altri 22). E che quest’anno hanno eseguito quasi 50.000 manovre anticollisione (in questo caso parliamo di satelliti manovrabili). Ma un numero in crescita sarebbe sostenibile dal software che gestisce questi oggetti in orbita?

Il rischio del rientro in orbita

Il dubbio resta, ma c’è un ulteriore problema da fronteggiare. L’elefante nella stanza è infatti lo smaltimento dei satelliti. Se realtà come l’ESA stanno lavorando con i produttori europei per prevenire in futuro eccessivi lanci, nell’immediato bisogna evitare che la disattivazione di un satellite non più utile non diventi un ulteriore grattacapo.

NASA e ESA avevano emanato linee guida in merito alla necessità che un operatore rimuova dall’orbita un corpo celeste che ha esaurito il suo ciclo vitale. Secondo però l’astrofico dell’Harvard-Smithsonian Center for Astrophysics Jonathan McDowell, il rientro in atmosfera brucerebbe inquinanti come alluminio e protossido d’azoto. E ovviamente va studiato il punto di impatto per evitare rischi per la popolazione.

Gli Starlink sotto accusa per interferenze

Infine, c’è un’ultima questione da risolvere in merito all’affollamento satellitare. Questi oggetti emettono segnali che potrebbero coprire le onde radio captate dallo spazio profondo. Oltre a generare eccessivo inquinamento luminoso. Sotto accusa la costellazione Starlink. Come riporta la BBC, “i più recenti satelliti V2-mini Starlink emettono interferenze 32 volte più forti rispetto alla generazione precedente”. Producendo quindi una radiazione elettromagnetica non intenzionale che è luminosa di circa 10 volte tanto rispetto alle fonti di luce più deboli che vengono captate dai radiotelescopi.

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