Le emissioni navali sono un problema per il raggiungimento degli obiettivi di sostenibilità e abbattimento dei gas serra, ma qualcosa si sta muovendo. Tuttavia, l’Organizzazione Marittima Internazionale finisce sotto pressione per politiche ad oggi inefficaci, nonostante i piani proposti. La soluzione potrebbe essere una tassazione ad hoc?
C’è un elefante nella stanza quando si parla di emissioni globali prodotte dai mezzi di trasporto, ed è la mobilità navale. In pratica, l’immaginario popolare sottovaluta l’impatto inquinante prodotto dall’industria marittima, invece ragguardevole.
Il 2,9% delle emissioni globali sono navali
Come riportano i dati delle istituzioni europee, nel 2018 le emissioni globali dei trasporti via mare hanno rappresentato una quota del 2,9% del totale prodotto dalle attività umane. In pratica, 1.076 tonnellate di CO2.
Urge quindi correre ai ripari. In Europa è stato siglato lo storico accordo FuelEU Maritime, che tramite tappe intermedie punterà ad una riduzione dell’80% entro il 2050 delle emissioni nocive prodotte dall’industria marittima e dai suoi carburanti, dalla CO2 al protossido di azoto e al metano. E al di là di queste proposte ambiziose, di recente nel G7 dedicato ai trasporti tenutosi in Giappone è stato preso l’impegno della creazione di 14 nuovi corridoi marittimi verdi tra i sette grandi del mondo entro la metà del decennio.
I piani dell’Organizzazione Marittima Internazionale
Ma si è mossa anche l’Organizzazione Marittima Internazionale (IMO), agenzia delle Nazioni Unite che si occupa di sicurezza del trasporto marittimo. Tra gli altri compiti anche la prevenzione e il monitoraggio dell’inquinamento prodotto dalle attività di navigazioni globali. A tal proposito, nel 2018 l’IMO ha lanciato piano Green House Gas che punta alla riduzione delle emissioni (prendendo come riferimento i valori registrati nel 2008) nei trasporti via mare del 40% entro il 2030 e del 70% entro il 2050. Successivamente, nel 2020 è stata la volta del piano IMO 2020, riguardante la riduzione di ossido di zolfo nei carburanti delle navi dal 3,5% allo 0,5%. Cosa che comporterebbe chiari vantaggi in termini di emissioni inquinanti.
Il nuovo piano: l’IMO 2023
Infine, ecco l’IMO 2023, sempre concernente la riduzione delle emissioni marittime (in questo caso di carbonio), introducendo due indicatori di efficienza.
L’indice di efficienza energetica delle navi esistenti (EEXI) riguarda le prestazioni a livello energetico della nave, basandosi a parametri come la potenza, la velocità, i consumi del motore eccetera. In buona sostanza, l’indice valuta le prestazioni globali della nave, basandosi però sulle specifiche del natante.
L’indicatore di intensità di carbonio (CII), invece, si occupa del monitoraggio e classificazione dell’efficienza della singola nave. In questo caso si rapporta il gas serra prodotto con la distanza percorsa e la quantità di carico a bordo, con una scala di valutazione e un rating minimo per la nave che deve essere pari a C (A è il livello ottimale, E quello peggiore). Sono previste infine sanzioni e richieste di modifiche al natante in caso di violazione dei regolamenti IMO 2023.
Con queste prescrizioni, le navi dovranno per forza di cose essere rivisitate e efficientate dal punto di vista energetico. Questo significa che gli armatori dovranno investire per migliorare le loro flotte, affrontando al contempo restrizioni sulle loro navi più vecchie. E questo potrebbe avere effetti anche sui costi delle spedizioni via mare che possono scaricarsi a valle sul cliente finale, visto le richieste di ammodernamento dal punto di vista tecnologico ed energetico.
23 Paesi premono sull’IMO per introdurre una tassazione sulle emissioni navali
Il prossimo mese, e precisamente dal 3 al 7 luglio, si riunirà il comitato IMO per rivedere la sua strategia sulle emissioni. E alla vigilia di questo appuntamento 23 Paesi ed organizzazioni regionali hanno nel frattempo lanciato una iniziativa per appoggiare la proposta di introduzione di una imposta sulle emissioni nei trasporti marittimi. La tassazione, a loro dire, spingerebbe gli armatori a migliorare dal punto di vista della sostenibilità le loro flotte, e l’IMO “potrebbe poi destinare il denaro raccolto, forse 100 miliardi di dollari all’anno, ai Paesi più poveri per aiutarli a far fronte ai cambiamenti climatici”. Questo per far sì che l’industria marittima possa contribuire a contenere l’aumento della temperatura globale nei prossimi anni a 1,5 gradi centigradi.
A sostenere questa posizione Paesi come Danimarca, Norvegia, Cipro, Spagna, Slovenia, Monaco, Georgia, Vanuatu, Corea del Sud, Grecia, Vietnam, Lituania, Barbados, Isole Marshall, Isole Salomone, Irlanda, Mauritius, Kenya, Paesi Bassi, Portogallo, Nuova Zelanda, più la Commissione Europea.
Nel caso questa proposta venisse accettata, successivamente si aprirebbero le discussioni e i negoziati per stabilire quanto pagare e come gestire i fondi raccolti. Secondo la Banca Mondiale, una imposta sulle emissioni di carbonio dal settore navale potrebbe far fruttare tra il 2025 e il 2050 sui 40-60 miliardi di dollari.
Una ONG chiede al Tribunale del Mare un pronunciamento chiaro e che superi l’IMO
In questo panorama bisogna citare poi il caso di quelle Nazioni insulari che si sono rivolte al Tribunale Internazionale per il Diritto del Mare, un organo le cui decisioni non sono vincolanti dal punto di vista giuridico ma sono comunque influenti, per un pronunciamento sulle responsabilità dell’inquinamento nei trasporti marittimi globali. A sostenere la posizioni di questi Stati anche la ONG Opportunity Green, che ha chiesto al Tribunale maggiore chiarezza sugli obblighi di legge dei Paesi sul tema dell’inquinamento dell’ecosistema marino. E per la precisione, si esorta l’organo internazionale a formalizzare l’impegno degli Stati nell’adozione di norme che contengano le emissioni nocive, secondo gli obiettivi degli 1,5°C degli accordi di Parigi.
E secondo Opportunity Green all’interno della stessa IMO i Paesi aderenti non hanno ad oggi raggiunto un accordo di peso per rendere più sostenibile l’industria marittima e raggiungere gli obiettivi. Anzi, secondo la ONG le emissioni delle navi potrebbero aumentare più di altri settori della mobilità. Carly Hicks, direttrice legale di Opportunity Green, ha dichiarato: “Anche se l’IMO non sta portando avanti la legislazione rigorosa che vorremmo, desideriamo che il Tribunale confermasse che i Paesi hanno l’obbligo unilaterale di agire per garantire che le emissioni delle navi siano ridotte in linea con il diritto internazionale”.
T&E critica l’IMO: “Sforzi ad oggi troppo miseri”. E propone una soluzione
Anche Transport & Environment, federazione europea di organizzazioni non governative impegnate nella promozione della mobilità sostenibile, ha criticato l’IMO. Jacob Armstrong, responsabile delle navigazioni sostenibili presso T&E, ha sferzato: “Gli sforzi per decarbonizzare i trasporti navali da parte dell’IMO sono stati finora miseri. La necessità di consenso a livello globale non ci ha portato da nessuna parte”.
Ma Armstrong ha indicato una soluzione alternativa: “Con la stragrande maggioranza delle navi che attraversano Europa, Cina e Stati Uniti, queste economie leader possono regolamentare unilateralmente le emissioni senza fare affidamento sull’inefficace IMO“.
Secondo infatti uno studio di T&E, l’84% del traffico marittimo attraversa l’Europa, la Cina e gli Stati Uniti. “Se queste economie dovessero regolamentare le navi che fanno scalo nei loro porti, potrebbero decarbonizzare in maniera decisiva il settore. […] T&E invita le tre economie a concordare misure per ridurre le loro emissioni marittime, compresi il mercato delle quote di carbonio, le tasse sull’inquinamento, gli obiettivi di efficienza energetica e gli standard sui carburanti a emissioni zero per creare un regime normativo globale de facto”.