Con l’approvazione del rinnovo dell’EU ETS, il sistema di scambio di quote di emissione, si apre una nuova pagina per la sostenibilità nei trasporti. Ecco cosa sono e perché sono importanti per l’Europa, e le possibili ripercussioni della riforma
La notizia dell’approvazione della riforma dell’Emission Trading System ha scosso tutta Europa. Si tratta di un altro cambiamento, dopo lo stop alla vendita di auto e furgoni inquinanti a partire dal 2035, con l’obiettivo di raggiungere gli obiettivi di sostenibilità per i prossimi anni. Primo tra tutti quel taglio delle emissioni del 55% entro il 2030, alla base del progetto Fit for 55, che bisogna assolutamente raggiungere. Quello che riguarda l’ETS potrebbe cambiare di molto la vita dei cittadini, andando ben oltre le ripercussioni sul settore della mobilità.
In cosa consiste e a cosa serve l’ETS
L’Emission Trading System è nato nel 2005, quando si è cominciato a rilasciare sul mercato una quota fissa di permessi legati alle emissioni. In sostanza, esiste un numero massimo di emissioni che possono essere effettuate in una determinata zona, e le aziende possono acquistare e vendere tra di loro queste “quote di inquinamento”. Alcune vengono immesse nel mercato gratuitamente.
A seconda della domanda, come se si trattasse di un qualsiasi altro prodotto, varia anche il prezzo della quota di emissioni. Al momento un certificato ETS I costa poco meno di 85 euro secondo l’European Energy Exchange. Diminuendo il numero di emissioni permesse e di certificati gratuiti, però, aumenterà il prezzo. In caso di emergenza, comunque, il 24% di quote è in una riserva di mercato pensata per stabilizzarlo.
Cosa cambierà con la riforma. L’ETS II
Se, da un lato, proprio come per la prima versione dell’ETS il prezzo seguirà l’andamento del mercato, allo stesso tempo il sistema riformato avrà una cosiddetta “clausola di salvaguardia”. Nel caso i prezzi dell’energia schizzassero alle stelle, dunque, si potrà tornare indietro e posticipare l’introduzione definitiva della politica economica sostenibile all’anno successivo. Le istituzioni UE si sono inoltre impegnate a immettere ulteriori quote in caso i costi diventassero eccessivi.
La cosa che più preoccupa è il rischio per i privati cittadini. Il cambiamento più grande dell’ETS II è il fatto che il meccanismo sarà esteso anche ai settori che prima non erano interessati, come quello stradale e degli edifici. Ambiti che quindi interessano le persone, considerando che anche loro dovranno in qualche modo “compensare” i combustibili bruciati da auto e camion e quelli usati per il riscaldamento o raffreddamento degli ambienti.
Ancora non si sa come avverrà tutto questo. Si crede che per i trasporti stradali le quote andranno pagate dalle stazioni di rifornimento, che probabilmente “scaricheranno” il prezzo sul costo del carburante venduto al cliente. Quando nel 2027 verrà ufficialmente introdotta la misura per la mobilità su gomma, secondo Christian Flachsland, direttore del Centro per la sostenibilità della Scuola Hertie a Berlino, probabilmente “dovremo pagare tra i 100 e i 300 euro per quota di emissioni”. Un dato che farebbe salire il prezzo alla pompa di 50 centesimi al litro.
Nel caso dell’energia per le case e gli altri edifici, saranno le imprese che operano nella fornitura che probabilmente si occuperanno dell’acquisto di quote e redistribuiranno il costo sui clienti. Bisognerà dunque aspettarsi un simile aumento complessivo dei prezzi.
Cosa succederà ad aviazione e navi
L’ETS aveva già molto a che fare con l’aviazione, considerando che erano le compagnie aeree le prime a dover acquistare titoli di emissioni. La situazione in merito, tra l’altro, già a marzo di quest’anno si era fatta preoccupante perché buona parte delle imprese del settore avevano finito il 62% delle quote gratuite.
Oggi, però, cambia ancora qualcosa con l’ETS II. Quelle quote gratuite che sono quasi finite per il 2023 saranno ulteriormente decurtate in modo progressivo anno per anno, dunque azzerate nel 2026. Saranno premiate, invece, le compagnie aeree che puntano sui SAF, ossia i combustibili sostenibili per l’aviazione. Per loro 20 milioni di certificati riservati tra il 2024 e il 2030.
Il settore marittimo sarà coinvolto nel sistema a partire dal 2024, ma anch’esso in modo graduale, raggiungendo la forma completa di partecipazione al sistema di scambio delle emissioni entro il 2026. Queste quote serviranno sia per i viaggi intraeuropei che per quelli esterni, che però andranno scaricati solo per il 50%.
Come “sfuggire” al sistema
Il modo per evitare di avere a che fare con l’Emission Trading System e, dunque, non dover pagare sempre di più, è quello di scegliere opzioni più ecosostenibili. Le imprese, infatti, sono spinte dal processo stesso a optare per processi di lavoro meno inquinanti così da non dover comprare quote di emissioni. Meno si inquina, meno si deve compensare la CO2.
Per quanto riguarda le aziende della mobilità, possono tirare un sospiro di sollievo coloro che operano nei collegamenti marittimi verso le piccole isole e gli aerei verso le regioni “ultraperiferiche” come i territori francesi d’oltremare, Canarie e Azzorre. Per loro al momento non è previsto l’acquisto di quote di emissioni.
Le polemiche sulla riforma dell’Emission Trading System
Ciò che desta però più preoccupazione è il fatto che alcuni mezzi molto particolari potrebbero essere esentati in modo quasi ingiustificato: rischiano di rientrarvi anche jet privati e yacht, tipicamente utilizzati solo dalle fasce più ricche della popolazione (che probabilmente possono permettersi di pagare per le proprie emissioni).
Un altro problema è dato dalle industrie energivore, oggi particolarmente toccate dalla crisi dovuta alla guerra in Ucraina e che potrebbero dover pagare altissime quote per compensare le proprie emissioni. Il Carbon Border Adjustment Mechanism dovrebbe tassare le importazioni nell’UE in base alle emissioni prodotte per realizzare la merce importata, e associarsi e compensarsi con l’eliminazione delle quote gratuite. Ci metterà diverso tempo per entrare in vigore, per l’esattezza tra il 2026 e il 2034.
Si rischia così di avere una disparità enorme tra cittadini che pagano da subito e gli altri 13 anni di permessi gratis alle grandi imprese inquinanti. Non resta che sperare che sempre più imprese, e anche queste, puntino a migliorare nell’ambito della sostenibilità.