L’espansione delle auto elettriche in Norvegia è tale che il Paese scandinavo è tra i leader del settore a livello mondiale. Come si è arrivati a questo traguardo, ma non mancano aspetti critici su cui comunque si sta lavorando (e da cui bisogna imparare)
C’è un Paese in Europa in cui la mobilità elettrica non è né argomento di polemiche né ipotesi futuribile. In Norvegia le auto dotate di batterie sono una realtà del presente, con dati che parlano del 20% delle vetture circolanti e l’80% di quelle vendute che sono totalmente elettriche.
Lo sviluppo impetuoso della auto elettriche in Norvegia: i dati
Nel report 2023 dell’Agenzia Internazionale dell’Energia relativo proprio alla mobilità elettrica si legge che l’Europa lo scorso anno ha rappresentato il secondo mercato più importante dei veicoli BEV dopo la Cina con il 25% del totale delle auto elettriche vendute al mondo e il 30% dello stock globale. In tutto ciò, la Norvegia è il Paese del vecchio continente a contribuire maggiormente a questo successo.
Per essere precisi con i numeri, nel solo 2022 la quota di vetture BEV vendute è stata pari all’88%, staccando in maniera netta la diretta inseguitrice, e sempre nel territorio scandinavo, ovvero la Svezia che ha registrato un risultato pari al 54%. Certo, in termini di volumi il mercato più grande in Europa resta la Germania, con 830.000 veicoli venduti nel 2022, ma comunque i traguardi della Norvegia sono impressionanti. (L’Italia invece ha subito una flessione, toccando un volume pari a 115.000 unità).
Il Paese scandinavo spicca anche per quanto riguarda i veicoli commerciali leggeri elettrici. Il report dell’IEA illustra come la Norvegia sia l’unica realtà europea a contribuire al quasi raddoppio delle vendite di questa tipologia di mezzi nel 2022, assieme a colossi esteri come Cina e Corea del Sud.
I dati, insomma, parlano di un Paese sempre più leader non solo a livello europeo ma mondiale nel settore della mobilità sostenibile. E non solo dei veicoli privati – ad Oslo, per dire, entro fine anno gli autobus saranno tutti elettrici. Come è stato possibile arrivare ad un traguardo che per noi italiani sembra un purissimo distillato di fantascienza?
Come si è mossa la Norvegia per incentivare lo sviluppo elettrico
Il governo norvegese si è mosso sin dagli anni Novanta per rendere possibile la transizione ai veicoli elettrici, spiega McKinsey. In un periodo storico, va detto, in cui un mezzo del genere poteva sembrare agli occhi di molti tanto avveniristico quanto un’auto volante. Anche se nel 1997 Toyota lanciò in Giappone la Prius, prima vettura ibrida prodotta in scala.
Le istituzioni norvegesi sono state le prime ad introdurre degli incentivi fiscali per l’acquisto di auto a zero emissioni. Inoltre sono stati messi in piedi strumenti normativi come la riduzione dei pedaggi stradali per i possessori di questi veicoli, parcheggi cittadini gratuiti e così via. Dato interessante è la graduale cancellazione di questi incentivi una volta che le BEV hanno iniziato a diventare popolari. Risultato: dal 2008 al 2011 sono stati venduti 10.000 veicoli elettrici, ma un numero simile si è raggiunto in sole quattro settimane nel 2022.
Altro asso nella manica della Norvegia è il poter contare su ingenti riserve di energia idroelettrica, “che rappresenta oltre il 90% della produzione energetica nazionale”. E ciò consente una fonte affidabile e a costi sostenuti per l’alimentazione delle auto elettriche, grazie ad una rete stabile in tutto il territorio norvegese.
La questione infrastrutturale
La Norvegia è anche il terzo Paese europeo in termini di stock di punti di ricarica veloce, ovvero 9.000. Un dato che si posiziona giusto dietro alla Francia (9.700) e alla Germania (12.000). La quota totale dei caricabatterie pubblici invece ammonta a 22.000, a fronte di mezzo milione di veicoli elettrici circolanti sulle strade.
C’è da dire però che il costo di una ricarica sulle strade ed autostrade, quindi quando l’auto è in viaggio, è sino a quattro volte più alto di quella domestica. Entro il 2030, “la ricarica in movimento e la ricarica a destinazione (nei centri commerciali, nei cinema e nei ristoranti, ad esempio) costituiranno in Norvegia circa i tre quarti dei profitti della ricarica dei veicoli elettrici, ma solo il 40% circa della domanda totale di energia” secondo le stime di McKinsey, e “al contrario, la ricarica domestica fornirà un quarto della domanda di energia, ma rappresenterà solo un decimo dei profitti”.
La metà degli automobilisti norvegesi inoltre ha lamentato dei malfunzionamenti nei caricabatterie veloci. Questo almeno è ciò che rivela il recente sondaggio annuale condotto dalla Norwegian EV Association riguardante la ricarica dei veicoli elettrici. La densità dei punti di ricarica poi non è altissima, e possono avvenire disagi come lunghe code alle stazioni e ai punti per ristabilire il livello di energia della propria auto. “Sono necessari siti più grandi con concentrazioni più elevate di caricabatterie, anziché siti più piccoli sparsi in tutto il Paese”, riporta McKinsey.
Cosa si può imparare dalla diffusione delle auto elettriche in Norvegia
Sia come sia, la diffusione delle auto elettriche in Norvegia sta causando una crescita dell’indotto ed una certa vivacità nel settore delle ricariche pubbliche e domestiche. Ad esempio, i distributori di carburante che stanno implementando dei caricabatterie nelle loro stazioni. La domanda di energia, con la diffusione delle BEV, è quindi elevata e la concorrenza sta diventando sempre più serrata. Allo stesso tempo, le aspettative per servizi di qualità da parte dei guidatori e dei clienti stanno aumentando di pari passo. E stanno inoltre crescendo le opportunità per installare stazioni multiuso per soddisfare le richieste degli automobilisti ed evitare i disagi di cui abbiamo parlato.
Si comprende quindi come lo sviluppo portentoso della diffusione di auto elettriche deve andare di pari passo con l’adeguamento infrastrutturale ed anche con le abitudini diversificate dei consumatori. Ciò impone agli operatori la possibilità di offrire piani che integrino esigenze di ricarica domestica e pubblica, oltre ad adattarle alle varie tipologie di clientela con le loro esigenze specifiche.
La Norvegia può essere un’anticipazione del futuro della mobilità
La Norvegia, insomma, non è soltanto un esempio da seguire in termini di mobilità elettrica. È anche un osservatorio privilegiato per capirne le opportunità ma anche gli aspetti critici da affrontare per far sì che possa avvenire in maniera armonica la transizione tecnologica ed ecologica. Evitando frustrazioni da parte dei guidatori dei veicoli BEV, come abbiamo visto in termini di infrastrutture di ricarica ed accesso alla rete.
Perché se è vero che l’esempio del Paese scandinavo dimostra l’insussistenza delle previsioni apocalittiche dei critici dell’elettrico, è anche vero che in caso di impennata della domanda non bisogna farsi trovare impreparati. E questo sia in termini di quantità dei punti di ricarica, che di affidabilità degli stessi e della rete. Che comunque nella sola Oslo ha retto e continua a reggere, città in cui le emissioni di gas serra sono inoltre diminuite del 30% dal 2009 e non ci sono stati licenziamenti di massa nelle stazioni di servizio e nelle officine, riporta il New York Times. E recenti analisi mostrano come anche la rete italiana potrebbe giovare dalla diffusione di veicoli elettrici.
La questione sociale
Altro tema importante, la questione sociale. In Italia si discute dei rischi in termini di perdite di posti di lavoro, ma in Norvegia come abbiamo accennato i meccanici hanno semplicemente aggiornato le loro competenze, mentre dei siti produttivi sono stati riconvertiti. L’inchiesta del New York Times svela che una acciaieria di Fredrikstad è diventata un centro di riciclo delle batterie (un po’ come dovrebbe avvenire con il nostro polo di Portovesme), gestito dalla Hydrovolt. Stesso discorso per il resto della filiera. Prendiamo ad esempio i concessionari automobilistici, che presentano sempre meno auto con motori termici nei loro autosaloni e sempre più BEV. Stando ai dati del Road Information Council, svetta in Norvegia Tesla con il 30% della quota di mercato contro il 19% di Volkswagen.
Il problema, semmai, è della case automobilistiche europee che non riescono a tenere il passo delle concorrenti, anche e soprattutto cinesi, che stanno puntando ai nostri mercati con veicoli elettrici pure a buon prezzo. Il tutto mentre marchi storici del nostro continente si stanno organizzando con un certo ritardo. Da quel punto di vista, le preoccupazioni della politica sono fondate (le soluzioni proposte un po’ meno, tuttavia).