Roma, 13/04/2025
Roma, 13/04/2025

Pirelli-USA, investimento in stand-by: governance cinese e tensioni commerciali in primo piano

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Nel pieno di una fase cruciale per i rapporti economici transatlantici, Pirelli – il colosso italiano della produzione di pneumatici – ha smentito categoricamente l’intenzione di investire negli Stati Uniti. La dichiarazione ufficiale arriva in risposta a un articolo del Corriere della Sera che parlava di un imminente annuncio da parte del presidente del Consiglio Giorgia Meloni durante la sua visita a Washington il 17 aprile.

Secondo il quotidiano italiano, Paolo Zampolli, inviato speciale del presidente statunitense Donald Trump per le partnership globali, avrebbe auspicato un investimento da 1 miliardo di dollari da parte di Pirelli nello Stato americano della Georgia, con possibilità di espansione fino a 2 miliardi per la produzione di smart tyres, pneumatici dotati di sensori e tecnologie di monitoraggio in tempo reale. Una notizia che aveva alimentato aspettative, anche alla luce delle pressioni dell’amministrazione Trump per rilanciare la manifattura locale.

Una smentita netta

Tuttavia, la smentita di Pirelli è stata netta: “Al momento non è stato deciso nulla, a causa degli ostacoli regolatori legati a questioni di governance e struttura azionaria”, ha dichiarato il gruppo in un comunicato. La vera questione ruota, infatti, attorno al controllo della società: il maggiore azionista di Pirelli è la cinese Sinochem, società statale di Pechino, e ciò complica qualsiasi progetto di espansione negli Stati Uniti.

Scontro tra azionisti e freno geopolitico

L’impossibilità di muoversi sul mercato americano, uno dei più rilevanti per la mobilità elettrica e la digitalizzazione dell’automotive, mette in luce una tensione ben più profonda: l’intreccio tra economia globale, sicurezza nazionale e assetti azionari strategici.

Marco Tronchetti Provera, vicepresidente esecutivo di Pirelli, ha evidenziato come i limiti derivino proprio dal peso del socio cinese, in un contesto in cui gli Stati Uniti hanno inasprito le restrizioni verso le aziende controllate da entità cinesi, in particolare per quanto riguarda software, tecnologie di tracciamento e infrastrutture connesse.

Il caso Pirelli rientra pienamente nella strategia americana di “decoupling” dalla Cina, che sta avendo effetti trasversali su tutta la filiera industriale e tecnologica. Il Dipartimento del Commercio ha già bandito componenti hardware e software cinesi in settori sensibili, tra cui telecomunicazioni, intelligenza artificiale e automotive.

Implicazioni economiche e strategiche per l’Italia

Per l’Italia, lo stallo di Pirelli rappresenta un segnale allarmante. Il nostro Paese si trova sempre più spesso in un delicato equilibrio diplomatico tra gli interessi europei, l’alleanza atlantica e i rapporti economici con Pechino. La visita di Meloni alla Casa Bianca potrebbe essere l’occasione per riposizionare l’Italia nel quadro strategico USA-EU, soprattutto in un momento in cui il reshoring industriale, la sicurezza tecnologica e la transizione energetica guidano le agende politiche delle principali potenze mondiali.

La nuova geografia della produzione globale

L’ipotesi di un nuovo stabilimento Pirelli in Georgia, pensato per la produzione di pneumatici intelligenti destinati ai veicoli elettrici e connessi, si inseriva perfettamente nelle esigenze del mercato statunitense, oggi alla ricerca di produttori locali per supportare la rapida elettrificazione della mobilità.

Tuttavia, il blocco dell’investimento pone interrogativi anche sulla strategia futura del gruppo, che dovrà riconsiderare il proprio posizionamento globale. Se da una parte l’Europa rappresenta ancora un mercato chiave, dall’altra l’impossibilità di penetrare in modo efficace negli Stati Uniti rischia di frenare l’innovazione, soprattutto in un comparto dove la convergenza tra digitale, IA e mobilità è sempre più spinta.

Il caso Pirelli come paradigma delle nuove guerre industriali

La vicenda Pirelli è emblematica di un cambiamento epocale: le aziende non possono più ignorare il fattore geopolitico nelle loro scelte industriali. L’accesso a nuovi mercati, la scelta dei partner, la struttura azionaria e persino le tecnologie impiegate sono oggi soggette a un grado di scrutinio che va ben oltre la logica economica.

Per il sistema-Paese italiano, il caso rappresenta anche una sfida di politica industriale: garantire la competitività delle imprese italiane sui mercati internazionali, proteggendone al contempo la sovranità strategica.

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