I consumi americani si stanno lentamente adattando alla rivoluzione della mobilità elettrica, ma certe abitudini sono difficili da scalfire
Abbiamo bisogno di grandi batterie per le auto elettriche? Un articolo di Gregory Barber sull’edizione americana di Wired sostiene una tesi che confuta l’utilità di avere potenze che eccedono le nostre necessità. O meglio quelle dei consumatori e guidatori americani.
Il giornalista parte dall’assunto che ancora non è entrata a regime una economia circolare che faccia sì che il ciclo di vita degli accumulatori possa andare oltre il loro naturale consumo, e perciò dal momento che non ha ancora preso veramente piede una pratica di riciclo dei materiali (tra cui i metalli) che le costituiscono, le batterie di fronte ad una corsa verso vetture più prestanti potrebbero rivelarsi più un impiccio che una opportunità.
Le abitudini americane alla guida: auto grosse, prestanti e con batterie ad alto consumo
“Le case automobilistiche sono ansiose di dar prova dei miglioramenti in termini di potenza e autonomia, anche se si tratta di avere più batteria di quella che la maggior parte dei conducenti può effettivamente utilizzare”, scrive Barber. L’articolo in realtà è incentrato sulle abitudini degli americani, per cui la quantità ha sempre rappresentato un surplus di cui vantarsi, a differenza di un senso della misura un pochino più accentuato nella mentalità europea.
Viene citato a tal proposito il commento di Thea Riofrancos, politologa del Providence College che si occupa dello studio dell’estrazione delle risorse per prodotti a basse emissioni di carbonio, e che ha richiamato alla memoria la tendenza delle case automobilistiche che negli USA hanno “venduto truck, pick-up e SUV ad alta potenza come paradigma di libertà”. Tendenza al gigantismo che si sta riverberando anche nell’elettrico, “trattandolo come se fosse un bene di lusso ed ottenendo margini di profitti più elevati per ogni auto”.
E qui entra in gioco il discorso delle batterie e le loro dimensioni. “La potenza è stata sostituita da variabili come l’autonomia e la dimensione della batteria, solitamente espressa in chilowattora”, prosegue Barber nel suo articolo, citando poi i dati di Minviro, società di consulenza che studia le emissioni di carbonio del ciclo di vita dei prodotti: “Una batteria da 30 kWH produce delle emissioni di carbonio pari a circa la metà rispetto a una batteria da 60 kWH”.
Barber poi annota: “La quantità di litio in un Ford F-150 Lightning [la vettura più venduta negli USA, ndr] potrebbe alimentare quattro o cinque Nissan Leaf, che sono più leggere di 3.000 libbre [circa 1,360 kg, ndr] ma consumano la metà. Nuove miniere di litio o cobalto significano più acque avvelenate, più specie in pericolo, più terre deturpate”.
I pregiudizi sulla guida elettrica
Si aggiunge la mentalità di molti americani nel rifiutare soste lunghe di ricarica (ed è molto comprensibile, d’altronde), puntando comunque su un’abbondanza energetica sapendo di stare abbattendo le emissioni di carbonio. In realtà c’è una percezione generale che sopravvaluta gli spostamenti, con gli americani che nell’acquisto di una vettura propendono per mezzi da lungo raggio ed affidabili, cosa che li porterebbe a diffidare dell’elettrico. In buona sostanza, meglio un’auto prestante, e se deve essere elettrica, almeno che abbia una grande batteria con una capacità imponente.
Un cortocircuito che si può demolire con un’informazione migliore su dove e come caricare le vetture, fermo restando un buon sviluppo infrastrutturale delle colonnine di ricarica, ovviamente, e “un’attenta consulenza legata ai comportamenti individuali dei guidatore, simulando efficacemente come funzionerebbe un veicolo elettrico nelle loro vite reali”.
Ma qualcosa sta cambiando tra i consumatori ed i costruttori
Si sta facendo strada una maggiore consapevolezza nei consumatori americani. Riportando le analisi condotte da Gil Tal, professore alla UC Davis che studia le scelte degli acquirenti di veicoli elettrici, emerge che chi compra una seconda auto elettrica o sfrutta la vettura di altri comprende il fatto che possano essere fattibili viaggi fuori dalle proprie abitudini consolidate, o da tragitti compiuti di norma con questa tipologia di veicoli, con soste per la ricarica che non si dimostrano chissà quale dramma. E soprattutto, questi utenti comprendono che con un adeguato sviluppo delle infrastrutture di ricarica, le cose potrebbero diventare più semplici.
Ed anche chi produce le auto, come Volkswagen e Tesla, si adegua ad un abbassamento delle pretese in termini di batteria, adottando ad esempio accumulatori LFP (litio-ferro-fosfato) come quelli usati in Cina dove le vetture sono più compatte e ci sono più stazioni di ricarica. Inoltre, un colosso delle batterie come la cinese CATL, leader a livello globale, ha annunciato che monterà sulle proprie auto celle a base di sodio, oltre che quelle al litio: in questo modo “si ridurrebbe la domanda di alcuni dei minerali più scarsi e distruttivi – nel caso di LFP il cobalto, e per le batterie al sodio il litio – ed il tutto si tradurrebbe in costi inferiori per i consumatori”, annota Barber.
Piano piano, insomma, l’ansia dal ritrovarsi improvvisamente con l’auto a secco di energia si sta superando, anche in Europa, sia per il progresso tecnologico che determina una migliore efficienza in termini di consumo e capacità, sia anche per il continuo orientarsi delle scelte dei consumatori, che alla fine potrebbero optare per una conveniente batteria più piccola.
Resta ancora molto da fare per cambiare le abitudini nella mobilità
Barber però sottolinea la necessità di fare ancora tanti altri passi, prendendo in considerazione quanto si sta facendo in Cina, “come condividere auto o adottare nuove tecnologie che consentano ai conducenti di scambiare batterie di dimensioni diverse in base alle loro esigenze”. Approcci che, va detto, sono frutto anche di mentalità totalmente diverse da quelle americane, come è naturale che sia.
Tuttavia non basterebbe. “Scegliere una batteria più piccola è meno importante rispetto al sostituire un truck o pick-up con un’auto o rinunciare completamente alla proprietà dell’auto privata a favore di un bus o di un’ebike, opzioni che ci porterebbero a un futuro decarbonizzato molto più velocemente”: questa la conclusione, un po’ ideologica e un po’ woke, di Barber. Che prosegue, “Nonostante esperimenti localizzati come il trasporto di massa senza tariffa o gli incentivi fiscali per muoversi senz’auto, quest’anno di investimenti per il clima ha visto ancora primeggiare i veicoli privati”. Difficile avere al tempo stesso più auto elettriche e meno auto in circolazione.