Roma, 19/09/2024
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La crisi dei fornitori nell’industria automobilistica: cosa sta succedendo?

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Se è vero che il mercato automobilistico è in difficoltà, i fornitori stanno vivendo una vera e propria crisi da diverso tempo. Le cause di una situazione che si trascina da tempo

Il mercato automobilistico sta vivendo un’era di crisi. I cambiamenti tecnologici, le tensioni geopolitiche mondiali, l’inflazione, i prezzi al rialzo delle materie prime sono tutti tasselli di una congiuntura economica non esattamente favorevole al momento per l’automotive.

Non solo auto: la crisi dei fornitori è persino peggio

In Italia il mercato nel primo trimestre di quest’anno ha registrato un calo del 3,7%, così come in Europa i dati parlando di una diminuzione delle vendite del 2,8%. Un rapporto stilato nei primi mesi del 2024 da Allianz Trade e dall’eloquente titolo Prospettive globali per il settore automobilistico: sterzare attraverso le turbolenze, ha messo in luce come l’industria automobilistica globale stia vivendo una fase di transizione piuttosto accidentata. Per quest’anno è prevista una crescita di l’1,9% delle vendite di nuove auto in Europa. E con la concorrenza cinese, in particolare sulle auto elettriche, che sta contribuendo a questa fase di incertezza nel panorama automobilistico europeo.

Ma non solo le auto in sé a soffrire. C’è tutto un’industria ad esse legata che sta faticando ugualmente, se non di più. Un’analisi dell’editorialista Chris Bryant pubblicata su Bloomberg.com si è soffermata infatti sul settore dei fornitori, in alcuni casi finiti alla canna del gas.

Dopo il rallentamento legato alla pandemia l’industria dell’auto si è dovuta riprendere, ma in maniera impetuosa. Questi tempi compassati, uniti alle pressioni inflazionistiche ed anche concorrenziali in particolare dalla Cina, stanno creando notevoli difficoltà ad aziende di fornitura componenti come Continental, Bosch o ZF Friedrichshafe, cnitate da Bryant.

Le cause della crisi della fornitura di componenti: la scommessa sull’elettrico

Messa quasi alle spalle la crisi dei semiconduttori, si sperava in tempi migliori. Che ancora però non arrivano. Pesano le incertezze legate alla transizione verso all’elettrico, meno lineare di quanto si immaginasse.

Le catene di fornitura globale pagano anche la coda venefica di pandemie, guerre, inflazioni, carenze di materie prime. Tutte cause e concause che abbiamo già citato, e che hanno spinto a tagliare le previsioni di vendita. Oltre a sudare freddo dopo aver rivisitato le loro gamme di prodotti per le auto elettriche. Come spiega infatti a Bloomberg il responsabile del settore auto di Continental Philipp von Hirschheydt, “i veicoli elettrici a batteria sino a pochi mesi fa erano una scommessa sicura. Oggi non più, le dinamiche sono cambiate totalmente”.

E queste dinamiche coinvolgono anche le case automobilistiche che devono gestire la pressione di un’industria cinese che spinge al ribasso i prezzi delle sue BEV. Una leva che garantisce un notevole vantaggio concorrenziale da parte delle vetture di BYD e degli altri marchi del Dragone. E che costringe i marchi europei a stringere sui costi dei nuovi modelli elettrici, a partire dalle forniture.

Le aziende di fornitura in ginocchio e il caso dell’Italia

E l’industria delle forniture nel frattempo è costretta a tagliare posti. È il caso di Magna International, che in Austria ha sfoltito 500 unità per via di un rallentamento nella collaborazione con le start-up di auto elettriche, scrive Bloomberg. Soffre anche un colosso come Ineos, che ha rinviato il lancio di una vettura sportiva a batteria. E una realtà automobilistica come la californiana Fisker ha dichiarato a giugno bancarotta.

Non se l’è passata bene ultimamente anche Marelli, uno dei più importanti produttori italiani di componentistica auto. Un’azienda storica, ex Magneti Marelli prima della vendita da parte di FCA al fondo KKR, che però ha pagato tra le altre cose anche lo scetticismo di Sergio Marchionne legato all’elettrico. E che ha spinto poi questa realtà a dover rincorrere la concorrenza per coprire il gap.

Dopo la fusione di FCA con PSA che diede vita al Gruppo Stellantis, i fornitori ormai non producono più in Italia ma oltralpe, in Francia. E chi rimane in Italia, come Brembo, resta una realtà di piccole dimensioni, come ha spiegato il direttore scientifico del Center for Automotive and Mobility Innovation (CAMI), Francesco Zirpoli, al Post. E questo impedisce di essere davvero competitivi a livello globale e di crescere. Com’è successo alla Delgrosso, che ha dichiarato fallimento a marzo di quest’anno.

Ma i fornitori italiani sono pronti per le elettriche. E il governo apre alla Cina

Eppure il Post cita uno studio dell’università Ca’ Foscari di Venezia secondo cui “sui 2.400 fornitori censiti in Italia, solo 93 producono componenti dedicati esclusivamente ai ‘vecchi’ motori endotermici”. Non reggerebbe quindi la tesi secondo cui la crisi delle catene di fornitura sia dovuta al fatto che le case, come Stellantis, possano prescindere da molti fornitori per via della semplicità di assemblaggio delle auto elettriche.

Nel frattempo la presidente del Consiglio Giorgia Meloni è volata in Cina per firmare un memorandum di collaborazione industriale che potrebbe aprire le porte italiane ad un costruttore di Pechino. E questo nonostante una propaganda martellante contro le auto a batteria battenti bandiera cinese. Un modo per rilanciare un’industria anche in termini di fornitura.

Anche perché, e torniamo all’analisi di Bloomberg, mentre i marchi automobilistici hanno potuto aumentare i prezzi nel biennio più duro tra il 2021 e il 2022, “i fornitori non hanno avuto la stessa fortuna”. Questi ultimi, rispetto al periodo prepandemico, subiscono margini di profitto inferiori rispetto a quelli dei marchi che servono. Insomma, un tempo questo settore era persino più redditizio delle stesse auto, ora non più.

Ma la Cina potrebbe anche rappresentare un rischio per la nostra industria

Ecco perché ci si apre sempre di più alla Cina e alla sua industria automobilistica. Pechino potrebbe essere un’ancora di salvezza, magari offrendo maggiori possibilità di affari per i fornitori. Ma al tempo stesso l’avanzata di aziende come BYD erode i margini di manovra sul mercato dei produttori europei.

Bloomberg cita il caso della francese Forvia, specializzata in componentistica. Lo scorso febbraio ha dovuto procedere al taglio di 10.000 posti di lavoro da qui ai prossimi cinque anni. Questo depennamento del 13% della sua forza lavoro europea deriva in parte dalla concorrenza asiatica.

Il caso dei colossi degli pneumatici

Chi invece non soffre sono i giganti degli pneumatici, ovvero Pirelli e Michelin. Continental invece dovrà provvedere a separare il suo settore legato alle forniture e tecnologia automobilistica, meno redditizio, da quello Tires, che invece regge. Due gruppi separati, con un processo che dovrebbe ultimarsi nel 2025.

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