L’ultimo rapporto di Aurora Energy Research parla chiaro: in Europa ci sono tre Stati che promettono bene quando si parla di sistemi di accumulo di energia a batteria. Tra questi c’è anche il nostro
Italia, Gran Bretagna e Irlanda possono vantare di essere alla guida della graduatoria del rapporto European Battery Markets Attractiveness di Aurora Energy Research, che prende in esame 24 Paesi europei. Rappresentano infatti i mercati più interessanti per gli investimenti nei sistemi di accumulo di energia a batteria. Il motivo? Spread solidi, forte sostegno politico e remunerazione del mercato delle capacità, che fornisce agli investitori entrate contrattuali a lungo termine.
Un dato promettente e che fa pensare a una crescita esponenziale nei prossimi anni. Il che “non è una sorpresa: l’accumulo di energia è uno dei fattori chiave della transizione energetica – ha commentato Ryan Alexander di Aurora Energy Research – e una complessa interazione di fattori di costo e di guadagno si sta unendo per creare una sostanziale opportunità di investimento”.
La Gran Bretagna in realtà è ormai da tempo più avanti rispetto a molti altri Paesi quando si parla di batterie e accumulatori. Può infatti vantare la maggiore capacità installata e in fase di realizzazione. Tant’è che si prevede che questa quadruplicherà.
Per quanto riguarda noi, invece, quello che ci contraddistingue è l’ambizione. L’Italia ha infatti l’obiettivo di raggiungere una capacità pari a 9 GW entro il 2030. Si tratta del nuovo meccanismo italiano di approvvigionamento di capacità di stoccaggio elettrico, all’anagrafe MACSE, che andrà a coprire sia i costi di capitale che quelli operativi.
Emergono dai dati di Aurora Energy Research anche alcuni Stati emergenti. Si tratta di Spagna e Grecia, dove le opportunità di investimento sono favorite da un solido sostegno pubblico, comprese le aste pubbliche per l’assegnazione della capacità. Le aste dedicate allo stoccaggio di batterie autonome o co-locate, infatti, in Europa hanno finora sovvenzionato almeno 1,8 GW di batterie in Germania, Grecia e Spagna. Le prossime aste potrebbero fornire oltre 15 GW in tutta Europa entro il 2030.
Il ritmo di crescita del settore a livello europeo sta dunque accelerando. Dai 7,1 GW installati in Europa nel terzo trimestre del 2023, Aurora prevede una crescita di sette volte: fino a 51 GW entro il 2030 e 98 GW entro il 2050. Un’opportunità di investimento cumulativa di 78 miliardi di euro fino al 2050.
“Le batterie sono indispensabili per portare avanti la transizione energetica – ha spiegato Eva Zimmermann di Aurora Energy Research –. Tuttavia, l’attrattiva del mercato dipende da una moltitudine di fattori. Elementi come la propensione al rischio, la portata dell’investimento e l’assetto preferito sono fondamentali quanto la progettazione del mercato e una comprensione completa degli sviluppi futuri del mercato dell’energia. Considerare collettivamente queste variabili è essenziale per prendere decisioni di investimento informate”.
Il suo arrivo è previsto entro fine anno, ma già ora sono uscite le prime indiscrezioni. Cerchiamo di capire in che modo si potrà avere la patente di guida digitale e come funzionerà
Niente più multe per aver dimenticato la patente a casa. La famosa scheda rosa, ormai da anni identica in tutta l’Unione Europea, a breve diventerà una carta elettronica. Si accederà attraverso l’app IO – che oggi utilizziamo per molti altri servizi e card digitali – e sarà a portata di smartphone.
Ad oggi non è possibile digitalizzare i propri documenti in quasi tutto il nostro continente. È necessario avere sempre a disposizione la versione fisica della propria patente di guida, se no si rischia di dover pagare una multa. Non è una sanzione particolarmente severa, ma comunque diventa un problema per chi non naviga nell’oro. Secondo l’articolo 180 del Codice della Strada, infatti, gli automobilisti fermati senza patente con sé devono pagare una multa tra i 42 e i 173 euro, mentre per i motociclisti va dai 26 ai 102. Dopodiché bisogna portare il documento presso l’ufficio indicato nel verbale, se no si rischia di dover pagare una mora.
Con la pandemia, però, il mondo ha cominciato a muoversi sempre di più verso la digitalizzazione dei documenti. È stato il caso del Green Pass, nato per essere elettronico. Ed è proprio a quel famoso codice QR che somiglierà la nuova patente di guida digitale. Nell’app IO, una volta effettuato l’accesso al nuovo portafoglio digitale, si potrà dunque richiedere un codice di quel genere che conterrà tutte le informazioni necessarie a chi effettua i controlli. Potrebbe essere possibile inserirla anche in altre tipologie di portafogli digitali come Apple Wallet e Google Wallet.
Oltre alla patente di guida digitale si potrà accedere anche a tessere sanitarie e certificati di invalidità. Lo ha detto Alessio Butti, sottosegretario con delega all’innovazione tecnologica, in audizione lo scorso aprile. “Stiamo lavorando per inserire tre importanti documenti all’interno del portafoglio digitale dell’App IO – aveva spiegato – ovvero: la patente digitale, la tessera sanitaria digitale e il voting pass: la tessera elettorale in formato digitale”.
Non si tratta comunque della prima volta che nel continente europeo le persone provano un tipo di patente elettronica. Già in Svezia, infatti, tempo fa era stato sviluppato un sistema di questo tipo. Si trattava di una smartcard con all’interno le informazioni personali del conducente e i tipi di veicoli che può guidare. I mezzi stessi non potevano avviarsi senza la patente, che diventava una sorta di chiave di accensione.
Questa però è solo una prova condotta su 15 veicoli. Il concetto funziona ed è un interessante modo per prevenire la guida non autorizzata e il furto di auto, ma l’introduzione su larga scala non è attualmente contemplata. Insomma, è un sistema diverso rispetto a quello che useremo a breve.
Per quanto riguarda la nuova patente di guida digitale, infatti, sarà semplicemente un documento utile per i controlli e per usarlo bisognerà solo avere la batteria del cellulare carica. Una volta scannerizzato, la polizia potrà accedere a tutte le informazioni rilevanti come i punti e le eventuali sospensioni senza dover ricorrere a un altro terminale per inserire manualmente i dati. Non esiste ancora una tempistica precisa per il rilascio ma l’apertura a tutti è prevista per l’estate del 2024.
Si tratta di una delle informazioni necessarie se si desidera acquistare un’auto a batteria. Vediamo quali sono i tre tipi di caricatori EV attualmente sul mercato
È la parte più preoccupante del possedere un’auto elettrica: ormai si parla sempre più spesso di ansia da ricarica, anche se in effetti la capacità delle batterie si sta ampliando. Nonostante ciò, è una buona idea avere chiari quali siano i tipi di caricatori EV, così da agire di conseguenza. Anche nell’ottica della tutela dei propri veicoli in condizioni come il grande freddo e il caldo torrido delle estati più recenti.
Le centraline di ricarica sono diverse non soltanto per la velocità a cui permettono di fare un pieno, ma anche per la varietà di connettori che possono essere impiegati. Sulla base della rapidità e del tipo di infrastrutture necessarie si parla perciò di tre tipi di caricatori EV.
Si tratta del metodo più lento e inefficace, con un range tra 1 e 2 kW. È però anche il più semplice. Non richiede nessuno strumento particolare da installare né delle modifiche al proprio sistema elettrico. I caricatori di livello 1 sono una delle opzioni più facili di ricarica e una delle preferite dai proprietari. Molto comoda la possibilità di usarli di notte, così da avere il veicolo pronto per il viaggio casa-lavoro la mattina.
Oltre che per la facilità di installazione della centralina, questo genere di sistemi permettono anche di mantenere la longevità della batteria dell’EV grazie allo scarso stress termico. Idealmente, però, non si dovrebbero tenere diversi apparecchi ad alta richiesta energetica sulla stessa presa, così da non sovraccaricare il sistema. Un altro punto a sfavore è chiaramente quello del lungo tempo impiegato per un pieno. In alcuni casi sono persino necessarie più di 40 ore per una carica completa. Anche per questo BMW definisce il livello 1 come un “caricatore per uso occasionale”.
Ma non è questa l’unica possibilità domestica. Anzi. Un caricabatteria di tipo 2, infatti, può essere un buon investimento per la propria abitazione. È considerevolmente più veloce di uno livello 1 (ha prestazioni tra 5 e 10 volte migliori) ed è anche più sicuro, dato che ha un collegamento elettrico dedicato e separato.
In Europa i caricabatterie di questo genere funzionano anche con la tensione standard di 230 volt, ma per le stazioni più potenti bisogna passare a un collegamento trifase separato da 400 volt. Possono essere montati a parete – sono i cosiddetti wallbox domestici – ma a volte sono anche attaccati a un piedistallo come nelle stazioni di ricarica, nei parcheggi o vicino ai marciapiedi. Solitamente è necessario avere un proprio cavo di ricarica.
Si parla di una batteria completamente carica in circa 5-10 ore, a seconda della velocità e delle sue dimensioni. Quando si usa questo sistema, il pacco batteria del veicolo si riscalda di più. Questo però non dovrebbe influire troppo sulla longevità della batteria e si può collegare il veicolo elettrico ogni notte, anche se sarebbe meglio mettere il limite di ricarica sotto il 100%.
Ci sono infine i cosiddetti sistemi di fast-charging, ovvero quelli rapidi. Forniscono corrente continua che va direttamente nella batteria senza bisogno di convertitore. Anche per questo le colonnine hanno sempre un proprio cavo, che è più spesso rispetto a quelli più comuni. Si raggiungono velocità dichiarate fino a 500 kW per veicoli come la Lotus Eletre. Invece di ore, si parla di minuti.
Questa velocità ha però un costo: danneggia la salute del pacco batteria, che subisce un degrado accelerato. Ne parliamo nel nostro pezzo su come prolungare la vita di queste parti delle auto elettriche. Non è perciò consigliabile come soluzione per l’uso quotidiano.
Arriva un attacco di un gruppo di ONG contro la Commissione UE. Il tema le più recenti variazioni nei criteri europei di tassonomia, che potrebbero portare a una crescita di investimenti su aerei e navi a combustibili fossili. Un’occasione persa per l’idrogeno verde nel settore
Un comunicato dalle parole forti, che rimarcano l’importanza della questione. È quello di cinque ONG: Fossielvrij, Protect our Winters, Dryade, CLAW e Opportunity Green. L’ente sfidato è la Commissione europea, che vorrebbero rivedesse “le sue norme sugli investimenti verdi nel settore dell’aviazione e della navigazione”.
La tassonomia passa inosservata alla maggior parte delle persone, ma se non la mettiamo in discussione queste industrie saranno autorizzate a considerare sostenibili aerei e navi alimentati da combustibili fossili”, avverte Hiske Arts della ONG olandese Fossielvrij. “Questo significherebbe che il denaro destinato alle soluzioni climatiche finirà per alimentare il disastro climatico”, aggiunge.
“La tassonomia dell’UE – scrivono ancora le associazioni – dovrebbe essere il ‘gold standard’ per informare gli investimenti etici e sostenibili. Esiste per fornire un elenco verificato di investimenti ‘verdi’ alle aziende, agli investitori e ai responsabili politici”. Cosa che, però, finora per loro non viene fatta. Anzi. Viene dato poco spazio all’idrogeno verde, che è una delle migliori soluzioni al problema della transizione ecologica dei settori non facilmente elettrificabili, come appunto aviazione e navigazione.
“Il recente declassamento delle previsioni di crescita della capacità di idrogeno verde in Europa da parte dell’Agenzia Internazionale dell’Energia – spiega Aoife O’Leary, CEO della ONG Opportunity Green e della coalizione Seas Hydrogen-fuels Accelerator – è l’ennesima conferma del fatto che attualmente non esiste una politica sufficiente a sostenere gli investimenti nell’idrogeno per i settori che ne hanno bisogno”. A causa di ciò, prosegue, “saremo sempre in ritardo nella diffusione dell’idrogeno e ritarderemo la transizione verso l’economia a zero emissioni”.
Nonostante in teoria si tratti di un carburante presente in abbondanza, negli ultimi anni si è preferito puntare sull’elettrico, le cui tecnologie sono state di più facile realizzazione per buona parte dei settori. D’altronde, produrre idrogeno non è economico e il processo è tendenzialmente inefficiente. Ma lo è soprattutto finché la ricerca non fa passi avanti.
Ci sono poi ambiti in cui non è così semplice elettrificare. Sono il settore aereo, quello navale, ma anche i trasporti pesanti. “La fornitura di idrogeno verde dovrebbe essere indirizzata in primo luogo alle industrie che dipendono fortemente dall’idrogeno grigio – avverte ancora O’Leary –. L’offerta deve essere incrementata rapidamente anche per i settori che non hanno altre strade per la decarbonizzazione. Il trasporto marittimo e l’aviazione sono due di questi settori e l’idrogeno verde e i combustibili derivati dall’idrogeno sono i più adatti a soddisfare i loro elevati requisiti energetici e di carburante per le lunghe distanze”.
Il capo di Opportunity Green non è l’unico a pensarlo, comunque. Anche l’Agenzia per le Energie Rinnovabili, infatti, ha detto che “l’utilizzo indiscriminato di idrogeno verde potrebbe rallentare la transizione energetica”. Oltre ad essere utilizzato in maniera diretta, inoltre, l’idrogeno verde può essere convertito in metanolo verde, ammoniaca verde ed e-kerosene, rendendone più facile il trasporto e l’utilizzo come carburante. Diventa perciò necessario che le politiche a livello internazionale rispondano a questo problema nel modo più attento possibile.
Al lusso non c’è mai fine. Un’azienda ha progettato un’imbarcazione che è sia yacht che sommergibile. Una nuova forma di mezzo ibrido che permette di godere appieno di un viaggio sull’acqua
Super di nome e di fatto. Il Migaloo M5 è un superyacht lungo 165 metri. Già per questo, dunque, stupisce molto. Ma non solo. La sua caratteristica fondamentale è la capacità di essere sia una nave che un sommergibile, che stupisce anche chi è abituato a innovazioni quasi futuristiche.
Arriva ogni tanto il momento in cui non si ha più voglia di continuare a guardare l’orizzonte e si preferisce cambiare atmosfera. Per i progettisti di Migaloo questo diventa uno spunto per, invece, immergersi e andare sott’acqua.
I passeggeri del nuovo superyacht, che verrà realizzato su ordinazione, potranno dunque andare sott’acqua, sotto il livello del mare. Ma non è tutto: dentro lo scafo a pressione principale ci sono anche due sottomarini di piccole dimensioni che possono essere utilizzati come veicoli acquatici supplementari in profondità.
Per rendere il processo di immersione il più sicuro possibile, sull’M5 sono presenti sistemi e attrezzature per preparare e proteggere i passeggeri anche in caso di emergenza sia sopra che sott’acqua.
I lussi di questa nave sia yacht che sommergibile non si fermano. Anzi. Il Migaloo M5 è dotato di un’elipista sul ponte di poppa, pronta per ospitare aerei, oltre a un hangar per elicotteri in uno degli scafi a pressione. In quest’ultimo c’è spazio anche per droni, mongolfiere, SUV, pick-up e camion. Insomma, ci entra ogni tipo di veicolo, che si muova via aria o via terra. E non c’è nessun pericolo per la sua sicurezza una volta che si va sott’acqua: è tutto ben protetto.
Essendo un ‘gioiellino’ per ricchi, l’M5 può essere arricchito in modo virtualmente infinito di opzioni estetiche e di intrattenimento sulla base dei desideri del suo futuro proprietario. Dagli sport acquatici alle attività dentro il superyacht fino alla progettazione di spazi ricreativi in stile beach club.
In caso di necessità possono essere inclusi spazi dove mettere gli strumenti da campeggio, ma anche l’equipaggiamento per fare kite surf o le immersioni, per non parlare dei giochi gonfiabili per grandi e piccini.
Per quanto riguarda l’intrattenimento, si possono realizzare sale interne o cinema all’aperto. La TV è satellitare e il segnale WiFi sarà sempre forte. Inoltre, tra le chicche di questa imbarcazione c’è il fatto che si illumina al buio: di notte diventa verde fluo ed è così facilmente riconoscibile in caso di emergenze.
Anche il colosso dell’automotive di cui fa parte la Fiat ha colto l’occasione per introdurre all’interno dei propri veicoli software che includono l’IA. Niente da stupirsi, dunque: Stellantis punta sull’intelligenza artificiale proprio come gli altri nel settore
La multinazionale delle auto Stellantis ha annunciato di avere acquisito il framework IA di CloudMade, impresa che si occupa di soluzioni automobilistiche smart basate sui big data. Lo dicono tutti: è la tecnologia del futuro, anche se ad alcuni fa paura. I programmi basati su sistemi di apprendimento automatico, così avanzati e sorprendenti, stanno entrando sempre di più nella nostra vita dei tutti i giorni. Ma non si parla solo di servizio clienti, copywriting e altro. Anche sui veicoli l’IA può fare molto: lo abbiamo notato con la guida autonoma, che però non è ancora arrivata al massimo delle proprie potenzialità e per cui ci sono delle questioni anche etiche e morali che abbiamo indagato. Non si tratta, però, dell’unico suo utilizzo nelle auto.
L’assimilazione di CloudMade fa parte del piano di Stellantis che prende il nome di Dare Forward 2030. Secondo quanto riportato dal gruppo, si tratta di un programma per la ‘rivoluzione’ delle in-car experiences, ovvero di tutto ciò che riguarda l’interazione con il veicolo.
La tecnologia IA di CloudMade, sviluppata nel corso di un decennio di lavoro e collaborazione con le imprese produttrici, “accelererà il percorso per lo sviluppo dello STLA SmartCockpit”, ovvero di un abitacolo smart, ha spiegato Yves Bonnefont, CSO di Stellantis.
Secondo gli accordi, 44 ingegneri e sviluppatori di software di CloudMade specializzati in IA si uniranno a Stellantis. L’architettura del framework usa tre approcci di apprendimento. Si tratta di apprendimento personalizzato, che prevede il comportamento di un individuo in un particolare contesto, apprendimento della flotta, che utilizza i dati dei sensori attraverso i dispositivi per rilevare e condividere le caratteristiche del mondo reale, e apprendimento della coorte, che combina i dati del mondo reale con i dati provenienti da gruppi di persone distinti per attributi.
Già nel 2022 si parlava di STLA SmartCockpit in casa Stellantis. L’holding si è mostrata interessata allo stabilimento di un centro di sviluppo software a Bengaluru, in India. Per questa parte di piano è stata siglata una partnership con Mobile Drive, che è una joint venture tra Stellantis e Foxconn.
Tra i servizi e i prodotti realizzati insieme a CloudMade ci sono:
Una delle difficoltà più frequentemente incontrate da chi possiede veicoli elettrici è la gestione della batteria quando ci sono grandi variazioni di temperatura. Questo perché le batterie si scaricano con il freddo (ma patiscono anche il caldo). Cerchiamo di capire le ragioni e come evitare problemi
Chi vive in zone del mondo in cui si raggiungono temperature sotto lo zero lo sa bene: le batterie ‘muoiono’ se l’esposizione al gelo è troppo prolungata. In più, i tempi di ricarica si allungano oppure non è possibile portare al termine il rifornimento. Si tratta di problemi che colpiscono particolarmente coloro che hanno un EV, ma che in realtà coinvolgono tutti. D’altronde, anche le macchine endotermiche hanno una batteria (che, tra l’altro, è particolarmente importante per il suo funzionamento) e pure benzina e diesel e altre parti meccaniche dei veicoli possono subire contraccolpi durante l’inverno.
Le batterie devono essere sufficientemente calde per consentire agli elettroni di muoversi, regola che vale a maggior ragione per le stazioni di ricarica rapida. Gli ioni di litio, infatti, scorrono attraverso un elettrolita liquido, producendo elettricità. Quando le temperature si abbassano, però, questi ioni viaggiano più lentamente e non rilasciano abbastanza energia. Questo riduce l’autonomia del veicolo e, dunque, il suo rendimento. Ecco perché le batterie si ‘scaricano’ con il freddo.
La maggior parte dei veicoli elettrici è progettata per aumentare la temperatura della batteria quando il termometro scende. Allo stesso tempo, i sistemi di riscaldamento che mantengono l’auto calda assorbono energia dalla batteria ad alta tensione, riducendo la capacità disponibile per la guida. La maggior parte dei veicoli elettrici più recenti ha la possibilità di essere dotata di una pompa di calore, che è più efficiente, ma ciò non vale per tutti.
Esattamente come per il caldo, dunque, bisogna prendere degli accorgimenti per mantenere le batterie integre. A Chicago negli ultimi tempi è esploso il panico da EV scarichi, ma in realtà tutte le problematiche dovute al freddo possono essere evitate con un po’ di pianificazione.
Secondo il Journal of Energy Storage bisogna anzitutto preriscaldare le batterie quando c’è freddo. Questo può essere fatto in due modi sulla base della fonte di calore per cui si opta.
I metodi ‘esterni’ sono caratterizzati da una grande perdita energetica, lunghe tempistiche ma bassa complessità di sistema. Quelli ‘interni’, invece, raggiungono l’obiettivo di riscaldamento della batteria più velocemente, mantenendo una grande efficienza, riducendo l’impatto di invecchiamento della batteria per sbalzi di temperatura ma rischi più alti per la sicurezza.
Collegare il veicolo all’alimentazione mentre si riscaldano l’abitacolo e la batteria è un ottimo modo per risparmiare perdita di autonomia. L’automobile, infatti, utilizzerà l’energia della fonte esterna piuttosto che quella interna per scaldarsi.
Per i proprietari di alcune tipologie di veicolo (come le Tesla) è possibile usare l’opzione di pianificazione del viaggio. Questo permette all’auto di prepararsi, scegliendo anche sulla base della temperatura esterna quando cominciare a riscaldare la batteria.
In caso non si fosse in grado di dare una tempistica esatta, poco prima di andare verso la macchina è possibile dare il comando tramite l’app per attivare l’opzione defrost.
Quando si mette sul navigatore una stazione di ricarica veloce, gli EV dell’azienda di Elon Musk cominciano già a riscaldare la batteria così da massimizzare la velocità di rifornimento. Un’ottima opzione per tutte le stagioni, ma soprattutto per l’inverno.
Secondo le raccomandazioni dell’American Automobile Association, un ottimo modo per evitare problemi di inverno è quello di abbassare il riscaldamento dell’abitacolo e guidare più lentamente. La velocità ha un forte impatto sull’autonomia in ogni caso. Inoltre, a differenza dell’endotermico, non esiste ‘calore di scarto’ generato dal motore che può essere pompato direttamente nell’auto per riscaldare le persone.
Le temperature non scaricano soltanto la batteria, ma fanno anche perdere tempo e denaro ai viaggiatori. Quando ci sono -6°C, ad esempio, si spendono più di 22 euro in più ogni 1600 chilometri. Quando invece ci sono 35°C, si parla di 7,30 euro in più ogni 1600 chilometri.
Le nuove tecnologie permettono di sperimentare modalità sempre nuove per usare i veicoli. L’unione di auto e IA, insomma, produrrà risultati sorprendenti, alcuni dei quali ‘musicali’
Chi non ha mai immaginato di vivere in un musical, come se ci fosse una colonna sonora della sua vita? Lo facciamo tutti quando camminiamo in città, quando siamo con gli amici… E persino quando viaggiamo in macchina. È indimenticabile la scena della film Qualcosa è cambiato in cui Jack Nicholson ha sei CD con playlist diverse a seconda dell’umore dei passeggeri sulla sua auto.
Mercedes ha presentato un software che ci consentirà di ascoltare una soundtrack dedicata mentre siamo alla guida. Si chiama MBUX Sound Drive e grazie a una forma di intelligenza artificiale sceglie la musica a seconda del modo in cui guidiamo l’automobile.
L’idea è quella di trasformare il viaggio in macchina in un’esperienza sempre meno tediosa, apprezzabile insomma da diversi punti di vista, con sistemi attraverso i quali si può quasi ‘giocare’ con il mezzo. Ci si potrà aspettare di sentire ritmi più o meno veloci e coinvolgenti a seconda del mood rappresentato dallo stile di guida.
Il veicolo diventa così una sorta di ‘strumento musicale virtuale’ con cui il conducente può entrare in armonia (letteralmente). Le canzoni scelte corrisponderanno ad azioni come il recupero, l’accelerazione, la sterzata e la frenata. “L’autista ora è il compositore e l’auto è lo strumento”, ha dichiarato il musicista Will.i.am, volto della campagna promozionale di Mercedes.
A questa proposta si aggiunge l’idea di infotainment integrato all’IA presentata al CES 2024 da Volkswagen. La chatbot di OpenAI, ChatGPT, sarà presente in tutti i veicoli del marchio. Risponderà a domande generiche, gestirà l’aria condizionata, sarà d’aiuto nella navigazione e permetterà di controllare la musica e tutti gli altri aspetti dell’infotainment.
Proprio come VW, anche Mercedes inserirà nelle proprie auto un assistente virtuale. Il suo si chiamerà MBUX Virtual Assistant e sarà in grado di dare risposte naturali e persino empatiche (con quattro ‘emozioni’ distinte).
Sarà invece Alexa la voce di supporto ai passeggeri utilizzata da BMW e sarà programmata per ‘spiegare’ al conducente come usare al meglio il veicolo. “A nessuno piace leggere il manuale – ha commentato Simon Euringer, che si occupa dell’assistente vocale di BMW – sarà possibile chiedere istruzioni sulle funzioni dell’auto come il sistema di assistenza al parcheggio e sentire le spiegazioni in termini di facile comprensione”.
Al CES 2024 c’è stato spazio anche per le proposte di Google. Ford Mustang Mach-E e l’F-150 Lightning – due veicoli elettrici – a breve cominceranno a condividere le informazioni sullo stato della propria batteria con Maps attraverso Android Auto. Presto questo avverrà anche per altri modelli. Quanto all’IA generativa, però, il colosso dell’informatica non ha ancora presentato nulla. Unica eccezione sarà la distribuzione in versione beta del browser Chrome su alcuni mezzi di Polestar e Volvo che consentirà agli utenti di fare acquisti o accedere a pagine web durante la sosta.
Presto si potrà anche pagare direttamente con l’auto. Qualcomm e J.P. Morgan stanno progettando un portafoglio di bordo per pagare i contenuti in streaming, la ricarica dei veicoli elettrici, il parcheggio o i pasti ai drive-thru direttamente con il computer di bordo.
Con l’arrivo del nuovo anno e l’applicazione definitiva delle misure per gli spostamenti sul territorio comunale è scoppiata la polemica su Bologna Città 30. Bisogna però spiegare meglio alcuni punti
“Costringere un’intera città a bloccarsi a 30 all’ora rischia di essere un danno per tutti, a partire da chi lavora, senza benefici proporzionali in termini di sicurezza e riduzione delle emissioni”. È così che il ministro dei Trasporti, Matteo Salvini, si è espresso sulla crescente polemica riguardante l’introduzione del limite di 30 km/h sul territorio comunale di Bologna. Una denuncia che arriva a progetto realizzato, quando in effetti il Comune aveva annunciato la misura già diverso tempo fa. Ne avevamo parlato anche noi in un’intervista all’assessora bolognese Valentina Orioli. Ma facciamo un po’ di chiarezza.
La decisione della giunta cittadina consiste nella limitazione della velocità massima consentita, finora fissata a 50 km/h nelle strade urbane, a 30 km/h. Nel caso specifico di Bologna, saranno coinvolte tutte le tratte tranne un centinaio di vie, piazze e rotonde. La mappa interattiva del cambiamento è stata messa a disposizione dall’amministrazione sul sito dedicato bolognacitta30.it, ed è visualizzabile ormai da diversi mesi.
Il ministro dei Trasporti durante il governo Draghi, Enrico Giovannini, aveva auspicato l’adozione di zone 30. Secondo Salvini, però, “imporre il limite in tutto il comune (e non solo nelle zone più a rischio) tradisce lo spirito della norma”. L’obiettivo del piano è quello di aumentare in modo significativo il livello di sicurezza stradale all’interno del territorio cittadino, oltre che la qualità della vita delle persone che vi abitano. Spesso, inoltre, rallentare la velocità massima degli spostamenti rende più semplice l’impiego di mezzi di micromobilità e, in ultimo luogo, la transizione ecologica dei trasporti, il miglioramento della qualità dell’aria, la promozione del trasporto pubblico intermodale e degli ideali della città dei 15 minuti.
In realtà il piano di ‘rallentamento’ dei trasporti all’interno del capoluogo era cominciato con una prima fase in cui veniva coinvolta solo una parte delle strade. I limiti di velocità sul resto dei percorsi, però, erano già presenti dallo scorso luglio. Ma fino a fine 2023 si è stati ancora in una fase di transizione. Solo da inizio gennaio stanno cominciando ad arrivare sanzioni salate con controlli della Polizia locale e nuovi autovelox.
Chi avrà il piede troppo pesante sull’acceleratore (pur tenendo conto dei 5 km/h di tolleranza previsti dal Codice della strada) potrà dunque essere multato se supera i 30 km/h laddove sono la velocità massima. Per verificare l’infrazione saranno posizionati autovelox mobili, mentre quelli fissi rimarranno soltanto laddove il limite è di 50 km/h. Le sanzioni andranno dai 29,40 euro per chi viaggia tra i 36 km/h e i 45 km/h nelle strade con limite dei 30 km/h a ben 845 euro (più 10 punti e sospensione della patente da 6 a 12 mesi) per chi si spingerà oltre i 60 km/h in più del limite.
Tra i primi a polemizzare sono stati i sindacati, che hanno parlato della questione trasporto pubblico. Secondo Luigi Marinelli, coordinatore regionale di USB, il periodo del covid “doveva segnare una stagione di rinnovato investimento del trasporto pubblico, e invece il servizio è peggiorato”. Tra le lamentele quelle in merito alla “carenza di personale, carenza di mezzi che rimangono fermi nei depositi, e un calendario dei cantieri a dir poco problematico”, oltre ai “tempi di percorrenza delle linee bus”. Ed è proprio su questi ultimi che si concentrano anche diverse testate e le parole dei cittadini. Con i nuovi limiti, infatti, gli autobus hanno subito ritardi. Insomma, al piano Bologna 30 non è stata associata una rimodulazione degli orari dei mezzi.
Arrivano anche le polemiche di tassisti e NCC, oltre che dei cittadini. Si parla di scarsa fluidità del traffico, difficoltà nel portare a termine il proprio lavoro oppure nell’arrivare in tempo a destinazione. Insomma, c’è ancora molto da fare per adattarsi. Nel frattempo, però, il tam tam ha dato un’ottima occasione al vicepremier Salvini per attaccare la giunta comunale guidata dal sindaco Matteo Lepore (che è di centrosinistra). La sua riflessione, però, si conclude in effetti con un’apertura: “Ho chiesto al mio ministero tutte le verifiche possibili a tutela dei Bolognesi – afferma il leader della Lega – sono pronto al confronto con l’amministrazione, auspicando buonsenso e concretezza”.
“Il ministro Salvini dovrebbe approfondire meglio il tema della sicurezza stradale perché è proprio il Piano per la sicurezza stradale del suo ministero, recependo linee guida internazionali, ad indicare il limite dei 30 chilometri orari come misura chiave per ridurre gli incidenti sulle strade urbane”. L’assessora alla Mobilità del Comune di Bologna, Valentina Orioli, ha replicato così alle critiche del Mit. “Metta da parte le posizioni ideologiche – invita – la causa di Bologna per la sicurezza stradale è quella di tutte le città italiane e dei lavoratori del trasporto pubblico locale, che svolgono un servizio essenziale per la mobilità e vanno sostenuti. Avremo modo di confrontarci su questo, attendiamo le disponibilità del ministro per fissare un incontro”.
Sulla stessa linea d’onda anche il messaggio del primo cittadino Matteo Lepore: “Tutte le città italiane in questo momento sono in sofferenza sul trasporto pubblico – spiega – Se vogliamo risolvere il problema del Tpl non diamo al colpa alla Città 30, che nelle prossime settimane andrà ad adeguarsi alla vita dei cittadini, ma soffermiamoci sui veri problemi. Mancano risorse per il trasporto pubblico a livello nazionale”. La promessa del sindaco è quella di portare le richieste dei sindacati anche al tavolo con il ministro.
Secondo la China Passenger Car Association (CPCA) le esportazioni di auto elettriche cinesi hanno superato quelle del Giappone
Il 2023 è stato sicuramente un anno di svolta per il mondo delle automobili, in particolare per i veicoli elettrici. E lo è a maggior ragione perché le esportazioni mondiali hanno riservato sorprese mese dopo mese. Tra i protagonisti, il mercato cinese.
Secondo quanto riportato dalla CPCA, infatti, le esportazioni di auto cinesi sono cresciute del 62%, raggiungendo il numero record di 3,83 milioni di veicoli in 11 mesi (contro i 3,5 milioni giapponesi). Se si considerano i dati relativi al totale delle unità per l’intero anno si parla di 5,26 milioni per la Cina e 4,3 per il Giappone.
Sono tutti dati che potrebbero stupire chi non conosce le ultime novità del mondo dell’automotive, ma che in realtà forniscono un chiaro esempio di quanto le vendite di veicoli elettrici possano trainare un cambiamento nei ritmi di crescita del mercato (oltre che nelle abitudini delle persone). L’impennata nelle esportazioni cinesi, infatti, è in buona parte dovuta al gran numero di imprese che si occupano solo di elettrico nel Paese e che riescono a fare grande concorrenza alle aziende del resto del mondo, Tesla inclusa (che, infatti, è stata superata per vendite di EV da BYD).
La Cina è il più grande mercato automobilistico del mondo. Le vendite di veicoli sono aumentate del 5,3% lo scorso anno. L’anno scorso le vendite di veicoli a batteria sono aumentate del 20,8%, mentre per quelli ibridi si parla addirittura del 82,5%. Buona parte delle vendite di auto elettriche cinesi, però, sono state interne. Questo anche perché alcuni governi sono preoccupati per la concorrenza ‘sleale’ della Cina, i cui EV costano molto meno anche grazie a un gran numero di sussidi statali.
Anche per questo la Commissione Europea ha cominciato un’indagine sul tema. L’amministrazione Biden, invece, sta considerando la possibilità di aumentare le tasse per i veicoli elettrici importati in USA dalla Cina.
Si prevede anche un aumento della concorrenza, considerando la scelta di Xiaomi – che finora si è occupata di smartphone – di ‘tuffarsi’ in questo settore presentando il suo primo veicolo elettrico.