Il Giappone potrebbe perdere il primato mondiale nelle esportazioni auto in tutto il globo a causa dell’avanzata della Cina. Quest’ultima è trascinata dal mercato dell’elettrico
Che la Cina stia correndo nel mercato delle auto elettriche è un dato di fatto. Tra l’altro, con un passo da fondista più che da scattista visto che parliamo di una trasformazione industriale che parte da lontano e che mantiene dei ritmi costanti e, per ora, difficilmente contrastabili. Questo perché il resto del mondo automotive (quindi Europa, America e Giappone, dove risiedono i più importanti e blasonati marchi) si è un po’ lasciato sorprendere dall’ascesa del Dragone e delle sue rampanti aziende quasi di Stato (che spesso collaborano con realtà europee del settore, tramite joint venture), che hanno colto le opportunità di un mercato in trasformazione. Nonostante si siano messe contro delle case automobilistiche dalla storia importante e dai volumi di produzione e vendita notevoli.
La Cina però ha recuperato il gap, scommettendo in tempi non sospetti sull’elettrico. E il resto del pianeta deve correre ai ripari per non farsi mettere all’angolo da una filiera che ha assunto una posizione di leadership in componenti fondamentali come le batterie per le auto elettriche, ed evitare quindi di dipendere dalla prepotenza cinese.
Esportazioni auto, l’avanzata continua della Cina
Questa premessa per introdurre le prospettive relative alle esportazioni delle EV che sorridono alquanto alla Cina. All’inizio di quest’anno il Paese asiatico era riuscito a superare la Germania, seconda al mondo, in termini di auto esportate nel globo terracqueo, e questo grazie all’industria dell’elettrico. Al primo posto risiede il Giappone, ma più passa il tempo e più questo primato rischia di essere un ricordo del passato.
Il Giappone e il ritardo sull’elettrico: il caso Toyota
Come riporta un’analisi pubblicata sull’East Asia Forum, la Cina “in tempi relativamente brevi” potrebbe diventare il primo esportatore al mondo. Questo anche per demerito dell’industria automobilistica giapponese, che ha iniziato ad investire troppo tardi sull’elettrico. Il caso di Toyota è emblematico: fino allo scorso anno il colosso nipponico non ne voleva sapere di un mercato fondato solo sulle EV, con l’ex presidente Akio Toyoda estremamente scettico al riguardo e più favorevole all’ibrido, o a saltare a pié pari l’elettrico per andare alla tecnologia successiva, l’idrogeno.
La realtà ha presentato però il conto e Toyoda è stato rimpiazzato nei primi mesi di quest’anno da Koji Sato, che ha dato una sterzata molto esplicita a favore dell’elettrico. L’obiettivo infatti sarà quello di produrre entro il 2030 3,5 milioni di auto BEV. Honda, entro la stessa data, punta invece a quota 2 milioni.
Certo, va detto che recentemente James Gilboy su The Drive ha proposto un’analisi sul fatto che, a suo dire, l’ex presidente Toyota tutto sommato non avesse molti torti, sostenendo che “i motori ibridi hanno un ruolo più importante da svolgere nella decarbonizzazione rispetto ai veicoli elettrici”. Inoltre la diffusione di questi ultimi, ha affermato, si sta scontrando con questioni relative all’autonomia, ai prezzi delle batterie e alla non capillarità delle infrastrutture di ricarica.
In realtà, sono tutti aspetti su cui l’intero comparto sta lavorando alacremente. La ricerca e lo sviluppo è incessante ad esempio sulle tecnologie alla base delle batterie (pure Toyota ci si sta mettendo), con evoluzioni meno costose e più prestanti. Per non parlare poi della diffusione delle fonti rinnovabili e della ricerca di materie prime alternative a metalli impattanti e dai prezzi molto alti. Inoltre, se escludiamo gli scivoloni del pachiderma burocratico e politico italiano, le reti di ricarica si stanno diffondendo sempre più.
Il mercato calante del Giappone
L’elettrico insomma è una strada tracciata che non ammette inversioni di marcia. Ma torniamo alla Cina e al confronto con il Giappone. Secondo quanto riporta l’East Asia Forum il mercato nipponico è ultimamente crollato di un terzo rispetto a quello europeo ed americano, che ha avuto invece una flessione del 9%. Se confrontiamo periodi di massimo fulgore come il 1996 ad invece il 2022, le vendite sono scese del 26%: un calo, insomma, a lungo termine e non evidentemente congiunturale. Ancora, negli Stati Uniti quasi il 40% dei nuovi acquirenti Tesla è migrato da marchi giapponesi come Toyota e Honda.
Essere quindi superati nella vetta delle esportazioni sarebbe un colpo durissimo per il Giappone. Come abbiamo detto, la Cina sta correndo nelle vendite all’estero grazie all’effetto delle sue elettriche, che rappresentano la metà delle sue esportazioni. All’interno di questo dato, il 34% dell’export totale dalla Cina ha riguardato l’Europa occidentale. E nel 2025 si prevede un balzo della quota del Dragone nel mercato europeo degli EV del 15%. Nel 2022 era del 5%.
Il ritardo giapponese sull’elettrico rischia di avere effetti sulla leadership nelle esportazioni auto globali
Il Giappone, pur dandosi una svegliata, rischia di essere troppo in ritardo: il mercato non attende, è un treno in corsa che non torna indietro e bisogna avere l’intuizione e la visione di saltarci su subito. Non aiuta poi il fatto che il settore delle ibride, in calo di popolarità, o una tecnologia con al momento più difficoltà e rischi che vantaggi come i veicoli con celle ad idrogeno siano ancora sostenuti dalle aziende e dal governo giapponese. E questo nonostante la Toyota Mirai, nata nel 2015 e dotata della tecnologia a idrogeno, ad oggi sia stata venduta nel pianeta in sole 22.000 unità.
I marchi giapponesi, secondo Richard Katz del Carnegie Council for Ethics in International Affairs, rischiano di replicare gli errori commessi dai grandi nomi dell’auto di Detroit. Questi ultimi nel recente passato hanno sofferto l’aumento dei prezzi del petrolio e controlli più stringenti sulle emissioni. Ed allora proprio l’industria nipponica subentrò con vetture con minori consumi e più piccole.
Fu così che il Giappone divenne il più grande esportatore al mondo, con Toyota che spodestò General Motors nel ruolo di azienda automobilistica più importante nel pianeta. Ed ora, ironia della sorte o dura e spietata legge del mercato, il Giappone rischia di diventare a sua volta un pesce piccolo inghiottito da quello più grande, ovvero la Cina. Riuscire a convertire mission aziendali e i processi produttivi, mentre i concorrenti sono già più avanti, non è esattamente il massimo per mantenere la leadership.
L’era del motore termico sulla via del tramonto?
I dati riportata dall’East Asia Forum parlano a tal proposito di vendite globali di BEV tre volte tanto le ibride plug-in nel 2022, mentre quest’anno negli Stati Uniti questa tipologia di auto aveva una quota di solo 1,2%. Le auto elettriche, invece, hanno toccato un valore – destinato a crescere – del 6,2%. E secondo Bloomberg New Energy Finance dopo l’apice registrato nel 2017 le auto con motori termici conosceranno un trend negativo nelle vendite globali inarrestabile.
Il Giappone deve avere insomma il coraggio di lasciarsi alle spalle un modello che gli ha dato lustro e successo al livello globale, ma che ora sta cedendo il passo.