Presentato il report dell’Osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano 2022, grazie a Motus E e l’Università Ca’ Foscari di Venezia: con un’auto elettrica su 5 elettrica nel 2023, in Italia il settore è pronto per accogliere sempre più l’elettrico e le istituzioni devono rendere possibili le opportunità che questo cambiamento può comportare
Al di là dei vari dibattiti soprattutto politici (e purtroppo spesso ideologici), l’elettrico sarà il futuro della mobilità anche in Italia, nonostante scetticismi e difficoltà. Questo in sintesi quanto viene enunciato da un dossier, il primo volume redatto dall’Osservatorio sulle trasformazioni dell’ecosistema automotive italiano (noto come Osservatorio TEA) in collaborazione con Motus-E e CAMI (Center for Automotive and Mobility Innovation) dell’Università Ca’ Foscari di Venezia, suffragato da dati ed analisi e che si propone di aiutare aziende ed istituzioni italiane ad orientarsi nella transizione tecnologica che stiamo vivendo.
Il report, pubblicato di recente e presentato alla fiera K.EY 2023 degli ultimi giorni a Rimini, fornisce un quadro dell’attuale stato dell’arte dell’offerta e della produzione delle aziende di settore e della filiera della mobilità su strada (ne sono state censite più di 2500), in modo da individuare anche ulteriori ed inedite opportunità di crescita e di sviluppo industriale ed occupazionale, “alla luce dell’accelerazione nello sviluppo della tecnologia che l’industria sta vivendo soprattutto a causa della normativa europea che ha decretato la fine delle vendite dei produzione di motori endotermici al 2035”.
Spiega poi il testo, “l’obbiettivo principale dell’Osservatorio è quello di produrre evidenze scientifiche identificate sull’ecosistema della mobilità da rendere fruibili al sistema economico, imprenditoriale, politico-istituzionale, nonché scientifico. […] In questo scenario non è più sufficiente continuare ad analizzare la ‘filiera tradizionale’, ma si rende necessaria una analisi più ampia che prenda in considerazione tutto l’ecosistema della mobilità”.
Le trasformazioni che porterà l’elettrico
Il report parte fornendo una panoramica del settore automotive in Italia e le trasformazioni che ha subito nel corso dei decenni, dal punto di vista economico, tecnologico e sociale. Si arriva quindi alla rivoluzione elettrica, presentata come “la tecnologia più matura per sostituire il motore endotermico, che comporterà un radicale cambiamento della base tecnologica dovuta a profondi mutamenti del powertrain, che abbandonerà molti dei componenti presenti nei veicoli endotermici (pistoni, valvole, trasmissione ecc.) ma ne aggiungerà altri (batterie, inverter, software dedicati ecc.).”
“Una espansione dei confini della filiera automotive coinvolgendo quelle della digitalizzazione e dei servizi, necessarie tanto a garantire una esperienza di guida migliore quanto a offrire nuove forme di utilizzo alternative alla proprietà esclusiva del bene auto; [infine] la necessità dello sviluppo di asset complementari necessari al veicolo in sé, come le batterie, e al suo rifornimento come le infrastrutture di ricarica pubbliche e private. La novità e la discontinuità tecnologica di tali asset farà da volano per lo sviluppo di nuove filiere industriali”.
A dispetto perciò delle previsioni catastrofistiche degli apocalittici, il futuro elettrico comporterà quindi dei sacrifici nella filiera ma che potranno essere compensati al tempo stesse dalle opportunità che si creeranno.
Il report presenta poi i risultati dell’indagine sulle imprese della filiera automobilistica attraverso una classificazione in tre gruppi “aziende che totalmente, o parzialmente, producono componenti specifiche per le ICE (Internal Combustion Engine) i cui impiegati sono impattati dalla transizione tecnologica verso le BEV (Battery Electric Vehicle); aziende che producono componenti specifiche per le BEV o componenti condivisi con le ICE i cui impiegati non sono impattati dalla transizione tecnologica verso le BEV; aziende del comparto infrastrutture ed energia che saranno positivamente impattate, dal punto di vista occupazionale dalla transizione tecnologica verso le BEV”.
“La transizione elettrica non avrà impatti negativi sull’occupazione”
Si indicano poi le linee di tendenza del settore, a partire dagli scenari occupazionali. “Al fine di isolare l’effetto della transizione elettrica sugli occupati automotive italiani e rendere lo studio comparabile agli altri studi in circolazione – viene spiegato -, abbiamo utilizzato i dati al 2030 del report Boston Consulting Group […] su dati IHS Markit/Standard & Poor”, con il risultato di tre dati in particolare.
“Gli occupati ICE diminuiranno di circa il 42%, [mentre] gli occupati non ICE aumenteranno di circa il 10% includendo il rischio di contrazione del mercato e di automazione tecnologica; la produzione europea si ridurrà del 4% e le vendite dell’8%; la quota BEV prodotte in Europa sarà del 59%”.
Una prima conclusione a cui arriva il volume dell’Osservatorio TEA riguardo la transizione elettrica è quindi questa: “È del tutto evidente come, in costanza delle variabili di mercato attuali, l’impatto occupazionale attribuibile alla transizione verso l’elettrico non incide negativamente. Ciò è dovuto al basso numero di occupati in aziende la cui produzione è totalmente dedicata al powertrain endotermico. Una reattività del -42% sugli occupati dedicati alla produzione di componenti esclusive per l’endotermico è più che compensata dal +10% di occupati su componenti compatibili, o esclusive, per i veicoli elettrici”. Non solo: si parla di circa 7000 nuovi posti di lavoro al 2030 per il comparto infrastrutture ed energia.
Stando quindi alle rilevazioni, al “verificarsi degli scenari proposti per il 2030 i veicoli elettrici raggiungeranno quasi il 50% tanto delle vendite quanto della produzione europea, con livelli produttivi totali sostanzialmente stabili e leggermente superiori ai 17 milioni di veicoli”. Secondo l’Osservatorio è quindi “fondamentale” iniziare a porre le basi e le condizioni che consentano alle nostre aziende di potersi trovare pronte e soddisfare la domanda di elettrico generato dal cambiamento in atto: “Se da un lato possiamo pensare a tutta la filiera della componentistica a servizio degli OEM, dall’altro non dobbiamo ignorare le specificità che avranno i servizi post-vendita come la manutenzione la gestione delle batterie a fine vita ed il loro riciclo”, si mette in guardia.
L’Italia resta fanalino di coda riguardo la diffusione di BEV
In un altro capitolo del report si evidenzia come l’Italia al momento sia in realtà uno dei Paesi con più bassa diffusione di BEV: malgrado una tendenza finalmente in crescita, secondo i dati UNRAE di febbraio, nel 2022 la quota di mercato delle auto elettriche si trovava sotto il 4%, “con un andamento delle vendite piuttosto altalenante e strettamente correlato ai momenti di erogazione di incentivi”. Se invece si considera il peso del mercato nostrano sul totale europeo l’Italia si piazza al settimo posto per numero di BEV vendute, dopo Germania, Regno Unito e Francia, dove “si immatricolano complessivamente oltre metà di tutte le auto elettriche immatricolate in Europa”.
Le opportunità del cambiamento elettrico
L’Osservatorio fa notare l’importanza dell’opportunità che si cela nella transizione elettrica, in particolare per i produttori di auto per “rivitalizzare un settore quantomeno maturo se non in declino”: leggendo i bilanci delle capogruppo dei vari marchi europei risulta che il 2021 ha portato degli aumenti in termini di utile netto per tutte le case, “a dimostrazione che la capacità di generare profitti da parte dei principali carmaker è resiliente anche a fattori di crisi quali quelli verificatosi negli ultimi anni, dalle epidemie alla scarsità di componenti elettronici e, naturalmente, alla transizione verso l’elettrico”.
Un settore, quello delle BEV, che tra l’altro risulta pure particolarmente sovvenzionato con incentivi: solo considerando l’Europa, nel 2022 il totale degli strumenti di questo tipo stanziati per l’acquisto di auto elettriche, sia a privati che ad imprese, è stato di almeno 4,2-4,5 miliardi di euro (in Italia un decreto del 2022 metteva a disposizione 2 miliardi in tre anni di incentivi per auto a basse emissioni, per dire), a cui bisogna aggiungere poi i fondi per gli adeguamenti infrastrutturali e i benefici fiscali, non quantificabili in maniera precisa.
Il caso del Gruppo Stellantis
In un panorama in cui a livello generale un quinto delle auto prodotte nel nostro Paese è elettrico, il report riporta il caso del Gruppo Stellantis, analizzando per l’appunto la situazione degli stabilimenti italiani per poi affrontare la transizione che il colosso automobilistico sta portando avanti. “Se il nuovo piano industriale prevede […] il progressivo e integrale passaggio ai soli modelli elettrici, ancora nei prossimi anni le produzioni che saranno realizzate negli stabilimenti vedranno ancora l’alternarsi sulle linee di modelli endotermici, ibridi e full electric. Ciò detto nel Polo Torinese è iniziata la produzione della Maserati Gran Turismo e della Gran Cabrio, mentre dal 2024 dovrebbe entrare in produzione la piattaforma elettrica per tutte le Maserati”. Solo quindi a partire dal biennio 2024-2025, spiega il report, ed escludendo l’attuale produzione della 500e, verranno messi in produzione nuovi modelli elettrici.
L’Europa accelera, l’Italia arranca
“I provvedimenti europei in materia (Fit for 55) con la messa al bando dei modelli diesel e benzina nel 2035 e le risorse previste nel PNRR italiano sul capitolo della mobilità sostenibile – prosegue l’analisi dell’Osservatorio TEA – , stanno accelerando la transizione verso le motorizzazioni alternative con conseguenze che sono solo in parte immaginabili e che a cascata avranno effetti certi per i componentisti e più in generale per l’intera filiera (dalle reti di rifornimento a quelle di vendita)”.
Ma se altre realtà istituzionali come il governo francese stanno dando una mano al settore in questa transizione, in Italia c’è molta più inerzia al riguardo. “Le poche convocazioni del tavolo automotive presso il Ministero dello Sviluppo Economico e l’assenza di supporti diretti all’interno del PNRR italiano, le deboli risposte del governo sul fronte delle interrogazioni parlamentari e delle richieste che provengono dalle associazioni di settore e dalle organizzazioni sindacali, sono tutti elementi che non lasciano ben sperare e ciò nonostante la previsione di un finanziamento annuale di 1mld di € l’anno per il settore per prossimi 8 anni che finora è stato utilizzato, in minima parte, solo per gli incentivi all’acquisito”. Questo lo scenario (per noi fosco) tracciato.
Secondo quindi l’indagine ci sono diverse azioni ancora da compiere in Italia per favorire, o perlomeno non ostacolare, la traiettoria che sta seguendo l’industria automobilistica verso l’elettrico: “Semplificare l’accesso ai Contratti di Sviluppo premiando i progetti di collaborazione tra imprese; rivedere le regole di bando degli Accordi di Innovazione dando maggior peso alla qualità dei progetti; creare un tavolo permanente che includa tutti gli stakeholder e dia un supporto forte alle imprese indirizzandole verso la trasformazione; rivedere gli aiuti sotto forma di credito di imposta spesso poco attrattivi per piccole imprese che non hanno capienza fiscale”.
“Qualunque sia la strada da intraprendere il fattore chiave resta […] lo sviluppo di conoscenze, (non solo tecnologiche) che siano solide sul piano scientifico e indipendenti da interessi o pressioni che possano sviare dall’obiettivo fondamentale che, va ricordato, è quello di garantire un futuro sostenibile”.