Facciamo il punto sulla diatriba che sta tenendo bloccata la legislazione UE che mira a bloccare l’immatricolazione di auto termiche nel territorio europeo dal 2035. L’Italia trova nuovi alleati anche contro l’Euro 7, ma l’industria automobilistica è già pronta per la transizione
In questi giorni il ministro delle Infrastrutture e Trasporti Matteo Salvini si è recato a Strasburgo per una riunione al Parlamento europeo promossa dall’omologo ceco Martin Kupka, per discutere del futuro dell’automotive nell’UE ed in particolare sulle proposte legislative, compresi il regolamento sulle emissioni di CO2 dei veicoli leggeri, quello per i veicoli pesanti e il controverso Euro 7, che sta raccogliendo più oppositori tra i Paesi europei del bando dei motori a benzina e diesel.
L’incontro voleva cercare di trovare una posizione comune tra gli Stati membri che sull’argomento si trovano sulla stessa lunghezza d’onda, ovvero impedire il citato bando ai motori termici nell’UE dal 2035 approvato dall’Europarlamento lo scorso 14 febbraio: oltre all’Italia e alla Repubblica Ceca, anche la Germania (era presente infatti anche il ministro dei Trasporti tedesco Wissing), Polonia (rappresentata dal ministro Adamczyk), Ungheria, Romania, Slovacchia e Portogallo.
L’opposizione di Salvini e i pregiudizi sull’elettrico
Il Ministro Salvini, che ha avuto anche un bilaterale con Adamczyc, tornato in Italia ha ribadito la posizione italiana che mira a tutelare posti di lavoro e la filiera legata al mondo automobilistico. Ai microfoni di Radio 24 il vicepremier ha ripetuto il mantra sull’elettrico che inquina di più (non citando però dati per suffragare questa tesi) e rilanciando l’alternativa dei biocarburanti e degli e-Fuels, che tuttavia, come abbiamo esposto sia per gli uni che per gli altri su queste pagine, non sono certo una opzione più conveniente dal punto di vista economico né ambientale, soprattutto se non si converte l’intera produzione di energia alle fonti rinnovabili.
Tra l’altro, da qui al 2035 non si considera (o meglio, non si vuole considerare) il fatto che i costi dell’elettrico possano scendere – tra l’altro, aumentando il numero dei veicoli in circolazione si amplierebbe anche il ventaglio delle tariffe, a fronte dello sviluppo di infrastrutture di ricarica – così come il progresso tecnologico per rendere più efficaci vetture e batterie, anche dal punto di vista della sostenibilità ambientale, oltre al fatto che il mercato non sta certo ad aspettare le lungaggini delle istituzioni, muovendosi per introdurre in maniera graduale ma costante le BEV nelle abitudini di guida degli utenti tramite la conversione della loro filiera produttiva.
Per non parlare del fatto che l’adeguamento infrastrutturale (ovvero stazioni e colonnine di ricarica) sta andando anch’esso avanti, e pure in Italia visto che nel PNRR vengono previsti fondi pari a 741,3 milioni di euro per installare 7.500 punti di ricarica rapida in autostrada ed altri 13.755 direttamente nei centri urbani, il tutto entro il 2026 (ed entro giugno 2023 dovrebbero essere chiusi i contratti). E persino Poste Italiane si è mossa con un proprio progetto per la realizzazione capillare di colonnine e punti di ricarica, presentando tra l’altro la propria iniziativa alla presenza di buona parte del nostro Governo.
Certo, c’è il “problema” della dipendenza dalla Cina, e sicuramente è vero che non si può passare dalla sudditanza per quanto riguarda il gas dalla Russia ad una legata all’elettrico e alla sua componentistica (batterie comprese) nei confronti del Dragone. Ma c’è allora da capire come il nostro rivale asiatico sia riuscito a dominare il settore, e lavorare per favorire un ambiente produttivo in grado di sfruttare l’onda dell’elettrico anziché farci travolgere da essa. E questo mentre la Germania, in teoria nostro alleato nella battaglia contro l’UE, da una parte sta spingendo per gli e-Fuels, ma dall’altra non dimentica pure di investire sull’elettrificazione.
Insomma, come ha affermato l’amministratore delegato di Smart Italia, Lucio Tropea sul sito DMove, “bisogna comprendere che il Novecento è finito”, affermando poi un concetto molto importante e non abbastanza ribadito (se non addirittura sottaciuto): “Siamo contenti se non ci sarà un’imposizione dall’alto, perché alla fine sceglierà il consumatore, ma se non si capisce dove sta andando il mercato, l’Italia finirà con il perdere la sua filiera dell’auto”.
Le case automobilistiche pronte per l’elettrico: ecco alcuni casi
Il mercato, appunto. Mentre volano gli stracci tra Italia e UE e si stabiliscono aprioristicamente date limite per l’utilizzo di motori termici, la legge della domanda e dell’offerta come sempre avvenuto nella storia va per conto proprio, ed è da essa che vengono poi determinate le abitudini di consumo delle persone.
Certamente per le case costruttrici la conversione all’elettrico significa anche una maggior semplificazione nei processi produttivi, con costi più ridotti e margini al tempo stesso più elevati, e questo è un altro motivo per cui le BEV rappresentano per loro una opportunità di mercato.
Ecco quindi che tanti marchi puntano nel prossimo decennio a chiudere la produzione di vetture endotermiche, come Alfa Romeo (che dal 2024 inizierà a rinnovare l’intera gamma con modelli elettrici, arrivando alla Quadrifoglio da 1.000 cv ed anche ad un suv crossover) oppure il Gruppo Volkswagen, che proprio dal 2035 smetterà di vendere in Europa auto a benzina e diesel, annunciando in questi giorni un investimento globale di 180 miliardi di euro in cinque anni di cui due terzi riservati alla mobilità elettrica (nel 2021 la cifra evocata dal colosso si attestava ad 89 miliardi di euro), con in vista l’introduzione di oltre 25 nuovi modelli BEV entro il 2030. Stesso destino per Audi, appartenente al Gruppo tedesco e che lancerà solo EV dal 2026, per cessare quindi la produzione dei modelli con motori tradizionali dal 2033.
E ancora, Volvo che ha annunciato di diventare un marchio solo elettrico entro il 2030, con la stessa data fissata anche da Bentley (che mira tra l’altro a raggiungere la piena neutralità climatica in tutta la sua filiera aziendale e produttiva), da Ford (che potrebbe creare uno spin-off solo dedicato ai veicoli EV), Renault (ed anche la divisione sportiva Alpine diventerà un brand solo elettrico) e da BMW, ma in quest’ultimo caso puntando ad un 50% di vetture vendute in versione elettrica.
Dal 2035 dovrà essere la volta di Hyundai e di General Motors, che ha progettato una proprio piattaforma – la Ultium – per i veicoli elettrici da essa prodotti, mentre un decennio prima Honda venderà in Europa solo auto elettriche. Per quanto riguarda infine i marchi del Gruppo Stellantis, Peugeot entro il 2025 presenterà solo auto BEV, e a seguire Fiat dal 2027 e dall’anno successivo anche Lancia.
Nissan, infine, sta sviluppando una propria produzione di batterie da utilizzare nei propri veicoli già nel 2028.
“L’Europa si doti di una propria politica industriale”
In questo scenario quindi i costruttori non sono certo impreparati alla transizione tecnologica, e l’incertezza che sta aleggiando a livello europeo da quando l’Italia si è messa di traverso rischia di rappresentare un danno per queste realtà.
Come ha infatti dichiarato l’Associazione europea dei costruttori di automobili, l’UE deve sbloccare l’impasse sul regolamento riguardante i motori tradizionali e spazzare via ogni dubbio, perché la realtà industriale richiede pianificazione. Come ha dichiarato il presidente di Acea Auto ed amministratore delegato di Renault Luca De Meo, “serve una politica industriale europea per poter bilanciare gli effetti globali dell’Inflation Reduction Act americano e noi saremmo ben felici di dare il nostro contributo perché penso che, se l’industria dicesse che cosa andrebbe fatto, il piano sarebbe più efficace. La catena di valore dei veicoli elettrici è completamente diversa rispetto a quella dei motori a combustione. Le aziende stanno già investendo ma è evidente che questo passaggio richiederà del tempo”.
Breton consiglia alle case di essere attendiste
Dal canto suo, il Commissario all’Industria Thierry Breton ha consigliato i costruttori di mantenere entrambi i tipi di motorizzazione – termica ed elettrica – “finché la decisione [sui regolamenti UE riguardo il bando del 2035, ndr] non sarà finalizzata nelle prossime settimane”. Breton ha poi aggiunto ai microfoni della francese BFMTv: “Ad oggi nessuna decisione è stata ancora presa. Lo dico ai costruttori: aspettate che la democrazia europea abbia completato il suo percorso prima di prendere decisioni“.
“Stiamo lavorando per il 2035 e ci arriveremo – ha proseguito il Commissario europeo -, perché ciò che è in discussione oggi è sapere se integreremo o meno i motori termici con carburante sintetico. Se andiamo verso la fine dei motori termici nel 2035, ciò non significa la fine di essi sul pianeta. Siamo 440 milioni di abitanti nell’UE, su un pianeta che presto sarà di 9 miliardi di abitanti. Tutti i Paesi non diventeranno elettrici contemporaneamente, siano essi in Africa, in Sud America, in India. Nel 2035 ancora ci sarà ancora il 70% dei motori termici sul pianeta perché gli altri Paesi non hanno la nostra stessa velocità sull’elettrificazione. E mi auguro che l’industria europea continuerà a essere esportatrice netta di auto elettriche ma anche di auto termiche”.
Lo scontro tra Germania e Francia
Sullo sfondo di tutto ciò, come ha svelato Politico con un retroscena, c’è anche uno scontro tra Germania e Francia, con quest’ultima che invece preme per rispettare il bando del 2035, “perché rinviarlo significa fare un errore dal punto di vista ambientale e secondo me anche dal punto di vista economico”, ha spiegato il Ministro dell’Economia transalpino Bruno Le Maire a France Info, prima dell’incontro di Strasburgo dove, ricordiamo, non era presente alcun ministro francese.
Dal canto suo la Germania, su spinta dei liberali che nella coalizione di Governo controllano in particolare il Ministero dei Trasporti, sta premendo per gli e-Fuels come alternativa all’elettrico, da portare in sede di discussioni nel Consiglio europeo. Ricordiamo che senza maggioranza qualificata in quest’ultimo il regolamento potrebbe bocciato, spingendo lo stesso Consiglio ad eventualmente modificarlo per poi rispedirlo al Parlamento. Il fattore tempo, tra l’altro, gioca a sfavore di un bando frutto di circa due anni di trattative tra i Paesi dell’Unione, ora bloccato da veti ed incertezze.