Nella prima edizione del rapporto Legambiente di quest’anno, le città del Nord Italia si confermano tra le più inquinate, con livelli che superano sia i limiti dell’OMS per la tutela della salute umana che le direttive europee che verranno introdotte nel 2030
Siamo ancora lenti nella riduzione dell’inquinamento. Questa la conclusione a cui arriva Legambiente nel suo ultimo rapporto Mal’Aria di città, in cui fa il punto sui livelli di sostanze nocive all’interno delle città italiane senza dimenticare gli obiettivi dell’Unione Europea da raggiungere entro il 2030.
I dati analizzati: polveri sottili e biossido di azoto
Le tabelle rilasciate e spiegate da Legambiente riguardano due tipi di sostanze presenti nell’aria delle città del Bel Paese. Le prime sono polveri fini e finissime, rilevate come PM10 e PM2.5, a seconda della dimensione delle particelle. Si tratta di materiali in grado di penetrare nell’apparato respiratorio causando effetti di tipo acuto o cronico. Il secondo tipo di sostanza, invece, è il biossido di Azoto, in chimica NO2; si tratta di una delle cause di danni all’apparato cardio-vascolare.
Torino capitale: il caso PM10
Se c’è un motivo per cui si possa considerare Torino capitale d’Italia, senza dubbio è il suo inquinamento atmosferico. Nel 2022 una centralina di rilevamento della città sabauda ha sforato i limiti per le PM10 per ben 98 giorni, quasi tre volte il massimo consentito di 35. Dietro di lei Milano (84), Asti (79), Modena (75), Padova e Venezia (70). Quasi tutte le località a rischio sono del centro-nord, fatto salvo per Ragusa (41).
Di tutte le città, comunque, il 76% di quelle italiane nel 2030 sforerà i limiti, in vista anche di un taglio di metà di questi ultimi. C’è da considerare però che questi sono dati relativi soltanto a uno dei parametri utilizzati per calcolare l’inquinamento da PM10, e l’altro – relativo alla media di tutte le centraline della città – è più rassicurante in quanto non c’è alcun superamento dei limiti. Ciononostante, continua Legambiente, bisogna comunque cambiare passo e non accontentarsi di dati che sono comunque preoccupanti.
La situazione per le sottilissime
Situazione analoga quella delle PM2.5, ossia delle polveri finissime. Mettono in allerta ancora una volta le città del nord, con capolista Monza (25 μg/mc), seguita poi da Milano, Cremona, Padova e Vicenza (23 μg/mc), Alessandria, Bergamo, Piacenza, Torino (22 μg/mc) e infine Como (21 μg/mc).
71: questo il numero di città italiane che per le sostanze finissime presenti nell’aria saranno fuorilegge una volta in atto la direttiva del 2030. Molte di quelle del Sud si troveranno già sotto la soglia prevista dalla legge europea, ma per essere in linea con le direttive dell’OMS bisognerebbe avere rilevazioni di soli 5 μg/mc.
Quanto biossido di azoto c’è nell’aria
Per quanto riguarda le rilevazioni di biossido di azoto, invece, si parla di 57 città su 94, ossia il 61% che rientreranno fuori dai limiti dell’Unione Europea entro la fine del decennio. Situazioni più gravi a Milano, Torino, Palermo, Como e Catania.
Per il NO2 entrano nella pole position delle città meno virtuose anche due capoluoghi siciliani, il che è probabilmente dovuto agli alti livelli di traffico veicolare, una delle principali cause di inquinamento da biossido di azoto così come di polveri sottili.
In tutta Italia solo Agrigento (8 μg/mc) Siena ed Enna (4 μg/mc) si trovano poi sotto il limite consigliato dall’OMS, ovvero nei parametri per la tutela della salute umana.
A che punto siamo?
Sono molte le aree del nostro Paese rimaste indietro nella lotta all’inquinamento atmosferico, e fa preoccupare il fatto che ci sia molto da fare affinché si adeguino agli obiettivi da raggiungere entro 7 anni. Secondo l’analisi di Legambiente, che è stata comparata con le informazioni sull’inquinamento dieci anni fa, non ci sono dei sostanziali miglioramenti che facciano ben sperare. “Il tasso medio di riduzione delle concentrazioni a livello nazionale – scrivono gli esperti – è solo del 2% per il PM10 e il 3% per l’NO2”. Le città messe peggio, insomma, potrebbero aver bisogno di altri 17 anni per arrivare dove dovrebbero.
Le proposte di Legambiente per città più pulite: ZEZ, trasporto pubblico e alimentazione elettrica
La critica dell’associazione ambientalista, però, non è soltanto distruttiva. A metà rapporto, infatti, i ricercatori hanno inserito alcune proposte che potrebbero aiutare le città a velocizzare il proprio processo di riduzione degli agenti inquinanti così dannosi per i cittadini.
Tra questi c’è l’introduzione di Zero Emission Zone al posto delle ZTL (zone a traffico limitato), ossia le Low Emission Zone (LEZ). Si tratta di aree della città dove si fanno passare soltanto le auto meno inquinanti (con un pedaggio da pagare così da limitare ulteriormente gli accessi). Si tratta di una soluzione che in città come Milano e Londra ha permesso di ridurre le emissioni fino al 40%. Si parla di farlo anche in quasi altre 30 città europee in Francia, Paesi Bassi, Regno Unito e Paesi scandinavi.
Per ridurre le emissioni anche degli impianti di riscaldamento, inoltre, secondo Legambiente andrebbero ulteriormente incentivate le installazioni di pompe di calore condominiali meno nocive per l’ambiente.
Altre proposte riguardano invece i trasporti pubblici: da una parte, un potenziamento delle linee esistenti del trasporto pubblico e del trasporto rapido di massa, dall’altra, abbonamenti a prezzi ridotti, com’è il caso di Bari dove un annuale costa 20 euro. Idee che piacciono molto ai cittadini, che si sentono incentivati all’utilizzo del trasporto urbano, che pesa molto meno sul loro portafoglio. Ma anche l’elettrificazione di tutti i mezzi della città, come nel caso delle amministrazioni che si stanno impegnando nell’acquisto di autobus completamente elettrici – ormai convenienti anche per le aziende, grazie ai loro costi totali favorevoli. Un caso simile è quello di Taranto, dove il Comune sta affiancando alla flotta di autobus ibridi ed elettrici anche una di Bus Rapid Transit totalmente green secondo la filosofia della “città dei 15 minuti” in cui tutto è vicino. L’ampliamento graduale delle ZEZ e delle flotte di autobus pubblici elettrici, insieme all’introduzione di distretti ZED (Zero Emission Distribution) – possono contribuire al raggiungimento degli obiettivi di elettrificazione anche prima del 2035.
Infine, un’ultima idea è quella dell’ampiamento dei mezzi condivisi, ovvero auto e altri veicoli di micro-mobilità noleggiabili per tratte brevi. Questo è un contesto che negli ultimi mesi sta sempre più crescendo e che potrebbe diventare il futuro della mobilità in Italia, anche elettrica, a patto però che vengano costruite le infrastrutture necessarie.